Anche Depardieu contro l’intellighenzia di sinistra: i registi italiani? «Comunisti con case ovunque»
Cosa lega Gérard Depardieu a Carlo Verdone? Oltre al fatto di essere due attori capaci di utilizzare sia le corde comiche che quelle drammatiche, il filo di una polemica sempre aperta con la critica integralista. E allora, se «meglio rosso che Verdone» era lo slogan in voga qualche anno fa, all’epoca della diatriba tra il regista e attore romano e l’intellighenzia di sinistra, austera e radical kitsch, oggi l’asse polemico viene spostato dall’istrione francese proprio sui cineasti di casa nostra che, in un’intervista al Corriere della sera, senza troppi giri di parole etichetta così: «I registi italiani? Tutti comunisti con case ovunque». Sempre pronti, aggiungiamo noi, autori e critici fondamentalisti militanti, a incentivare con manifesti ideologici e proclami mediatici esterofilia cinefila e produzioni drammatiche, e, parallelamente, ben disposti a storcere accademicamente il naso contro la commedia, dai tempi del neorealismo bollata severamente come genere di serie B. Con buona pace degli incassi milionari di Checco Zalone e Christian De Sica, veri “re Mida” di celluloide grazie ai quali – in barba ad austeri dibattiti estetici e forum sul rigore formale – il cinema può tornare a godere di nuova linfa economica e spettacolare.
Dunque oggi la differenza per il successo la fanno lo spettatore e i risultati al botteghino: e a quella nutrita schiera di sceneggiatori, registi e attori – ma anche cantautori e istrioni da palcoscenico – che si sono nei decenni cullati sugli allori dell’incoronazione mediatica e della continuità professionale grazie all’arruolamento ideologico nelle fila della sinistra militante e sponsorizzante, non resta che farsene una ragione. Un’egemonia culturale e spettacolare, quella democrat, che ha avocato a sé talenti della settima arte, della canzone d’autore e della letteratura, a cui il brand progressista ha garantito sempre partecipazioni ai festival del cinema che contano, agli agoni editoriali più in voga, ai palcoscenici discografici più blasonati. Oggi, invece, il trend si inverte: e mentre una firma del grande schermo come Ettore Scola, rivela Depardieu dalle colonne del quotidiano di via Solferino, avrebbe un progetto nel cassetto – («una bellissima storia di cui non voglio parlare. Prima Scola – prosegue l’attore – non voleva farlo perché lo produceva Berlusconi, e ora non so. Non credo che troveranno i soldi») – autori non schierati a sinistra lavorano. Incassano. Vengono promossi a suon di record dalle platee e, gioco forza, in qualche modo anche rivalutati dalla critica costretta a rileggere morfemi e grafemi della sua grammatica giudicante. Chissà, allora, come sarebbe stata la parabola del successo di attori come Lando Buzzanca o come Lino Banfi – oggi nobilitati dalla tv e riaccreditati da un tardivo revisionismo critico – se negli anni Settanta, invece di pagare a suon di commediole scollacciate e di stroncature lo scotto di una mancata adesione culturale e politica a sinistra, avessero potuto vedere capacità e fortuna decretate semplicemente dal pubblico in sala… Ai posteri l’ardua sentenza.