L’America che nessuno conosce: attratta dal Duce e dall’Italia fascista

16 Lug 2014 17:57 - di Lando Chiarini

L’America che non conosci. Ad illuminarla ha provveduto Ennio Caretto, già corrispondente del Corriere della Sera a Washington, con il saggio Quando l’America si innamorò di Mussolini (Editori Internazionali Riuniti) che ha il merito di aprire uno squarcio su un aspetto – quello appunto della percezione del fondatore del fascismo negli States – tuttora inesplorato e misconosciuto. In effetti, quando si parla del rapporto tra Mussolini e l’opinione pubblica americana si finisce quasi sempre per limitare il tutto all’entusiasmo suscitato dalla trasvolata dell’Atlantico da parte della squadriglia aerea guidata da Italo Balbo o alle speranze di riscatto che la comunità italoamericana – all’epoca invero assai discriminata – aveva riposto nel Duce.

Meno noto è invece l’interesse suscitato da Mussolini nei protagonisti assoluti della vita pubblica americana, a cominciare dal presidente Herbert Hoover o in autentici magnati dell’industria, della finanza e della stampa. Sedotti dalla politica mussoliniana furono anche Mary Pickford e Douglas Fairbanks jr, autentiche star hollywoodiane. Una circostanza, quest’ultima, che certamente non risulterà estranea alla decisione di un giovane Vittorio Mussolini attratto dalla cinematografia (definita dal padre “l’arma più potente”) di correre negli Usa per vedere da vicino le mirabili del movie americano.

In quegli anni, persino John F. Kennedy, futuro inquilino della Casa Bianca, esterna tutta la propria ammirazione per il Duce. È evidente che l’attrazione esercitata Oltratlantico dal Littorio e dal suo capo è frutto anche della idiosincrasia tutta americana per la dottrina comunista. Il fatto che il fascismo la avversasse apertamente anche sul fronte delle politiche sociali e delle realizzazioni concrete non poteva non trovare accoglienza positiva. Prova ne sia che il progressivo avvicinamento di Mussolini ad Hitler e quindi la crescente distanza dell’Italia dal campo delle democrazie occidentali in nome di una “terza via” equidistante da capitalismo e comunismo finì per alienarle quel patrimonio di simpatia, di ammirazione e persino di consenso che era stato sin lì costruito.

In ogni caso, resta un fatto incontrovertibile che il fascino mussoliniano sugli americani descritto da Caretto faccia giustizia di una pretesa e presunta Italietta, così come certa storiografia di casa nostra ha tentato di accreditare in questi decenni. Al contrario, l’Italia di allora riuscì a mostrare tratti di assoluta originalità sia in termini di elaborazione teorica sia nella metodologia di governo. L’interesse degli Stati Uniti nasce da lì. E va a merito di Caretto averlo ricordato.

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