L’Italia vince i “mondiali” per la casa ecosostenibile e sociale. Addio all’architettura ideologica e “rossa”
E’ considerata la più importante e prestigiosa competizione internazionale fra progettisti di case innovative che non sprecano ma anzi producono energia, riscaldamento e raffrescamento, che risparmiano acqua e riciclano materiali. Una sfida tra le più importanti Università del mondo e una grande vetrina internazionale per l’edilizia più innovativa, con l’obiettivo di promuovere l’adozione e l’utilizzo di tecnologie solari e soluzioni architettoniche e costruttive a impatto zero tra i futuri architetti e ingegneri, così come tra i cittadini consumatori e le imprese del settore.
La sorpresa è che nella competizione Solar Decathlon Europe 2014, promosso dal Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, stavolta l’Italia si è piazzata alla grande: primo premio per il social housing della categoria nuove costruzioni e secondo nella classifica assoluta della competizione internazionale che vede sfidarsi le più importanti Università del mondo sul tema della bio-edilizia.
Il merito è del genio, tutto italiano, che ha progettato (e poi, anche, costruito) “Rhome”, l’eco-casa che, nell’idea green del team – studenti e ricercatori dell’Università di Roma Tre – dovrebbe riqualificare il quartiere periferico di Tor Fiscale, nella parte sud orientale della Capitale, sostituendo agli edifici abitati illegalmente «habitat performanti ed ecologi».
Non a caso il progetto si chiama “Rhome for denCity”, dove il gioco di parole sta a sottolineare tanto la città quanto la sua condizione complessa sia dal punto di vista sociale che logistico, di esagerata densità abitativa delle periferie.
Sono oramai lontani – e per fortuna – gli anni delle speculazioni ideologiche sul tema dell’urbanistica e dell’architettura. Quando, cioè, la mano di taluni architetti che intingevano i propri Rapidograph nella politica anziché nella china, produceva obbrobri estetici, culturali e sociali come il “Serpentone”, l’edificio stecca di Corviale che avrebbe dovuto imitare le costruzioni di Le Corbusier e, invece, da un lato, fermò per sempre e irrimediabilmente il ponentino romano che accarezzava la Capitale e, dall’altro, si guadagnò il triste primato di edificio con il più alto tasso di suicidi e di criminalità.
Archiviato questo passato, oggi gli studenti e i progettisti di Roma Tre immaginano, appunto, una Capitale che, perseguendo l’idea della “Smart city”, sappia offrire ai cittadini delle proprie periferie qualcosa di diverso, innovativo, realmente abitabile, economico e modulare. Ma, soprattutto, a misura d’uomo.
Il risultato è, appunto, “Rhome”, un prototipo di abitazione di 60 metri quadri articolata intorno ad un “centro strutturale 3D” della casa che beneficia di numero soluzioni, sia nella scelta dei materiali sia nell’utilizzo di tecnologie, per ridurre il più possibile i consumi: dagli impianti fotovoltaici sul tetto e sulla facciata dell’edificio alle strategie passive integrate per ottimizzare le risorse climatiche e dare spazio, al contempo, ai materiali locali.
Tra queste soluzioni, per esempio, la ventilazione naturale ottenuta tramite aperture posizionate strategicamente per innescare una ventilazione incrociata e l’ombreggiamento estivo attraverso delle apposite logge.
Naturalmente tutto questo sforzo di immaginazione deve avere un senso. Per questo i progettisti romani lanciano una provocazione a Ignazio Marino. «Sarebbe importante che il progetto di Rhome for denCity una volta terminata la competizione internazionale, non restasse un prototipo, ma diventasse delle vere abitazioni per riqualificare un’area degradata della periferia romana, – dice la Faculty Advisor del team, Chiara Tonelli – E’ arrivato il momento di dare un segnale di svolta importante per ripensare al meglio l’abitare sostenibile, integrato sia dal punto di vista sociale che da quello ambientale e paesaggistico. Siamo convinti che si tratti di una grossa opportunità per l’architettura e per l’economia del nostro Paese, e per far ripartire il settore dell’edilizia nel segno della qualità». Il problema è se il sindaco di Roma è in grado di capire quello che stanno cercando di dirgli i progettisti di “Rhome”.