L’ultimo libro di Buttafuoco: «La mia Sicilia? L’autonomia ha fallito, qui ci vuole un nuovo prefetto Mori»

2 Lug 2014 11:59 - di Priscilla Del Ninno

Da oggi è in libreria l’ultima fatica letteraria di Pietrangelo Buttafuoco, Buttanissima Sicilia (sottotitolo: dall’autonomia a Crocetta tutta una rovina; Bompiani editore, 206 pag; 12 euro). Ne abbiamo parlato con l’autore in partenza per un lungo tour di presentazioni proprio nella sua Trinacria. «È il mio libro più profondamente e sfacciatamente politico: a maggior ragione perché non è legato a nessuna conseguenza elettorale, semmai lettorale».

Allora Pietrangelo, in quello che per me è il tuo libro più compiuto e appassionante, Le uova del drago, stili un ritratto a tinte chiare e positivamente vivide del siciliano. Invece in quest’ultima incursione letteraria nella tua Sicilia descrivi una terra simbolo del declino italico, in cui il sogno del riformismo si è trasformato nell’incubo quotidiano dell’ingestibilità. Cosa è successo tra un libro e l’altro?

Il mio amore è sempre lo stesso, ma ne Le uova del drago lo scenario è quello di una guerra che sta per concludersi e di un popolo che ha edificato un’identità. Dal dopoguerra in poi succede che la Sicilia diventa il luogo della colonizzazione e dell’invasione e tutte quelle forze “malate”, “maligne”, che erano scappate via o erano state duramente represse all’epoca del prefetto Mori, tornano aiutandosi e aiutando l’esercito americano e prendendo possesso del territorio, avviando così quella che poi sarà la lunga stagione del separatismo e dell’autonomia. Ovviamente io ho personalmente verificato e sperimentato su me stesso l’illusione dell’autonomismo, perché una cosa è essere indipendentisti in Irlanda, una cosa è esserlo in Sicilia. Una cosa è Bobby Sands, una cosa è Salvatore Giuliano. Allo stesso modo, una cosa è l’autonomia in Trentino, una cosa è l’autonomia in Sicilia: sono due concetti diversi, sono anche due destini diversi, che svelano facce contrapposte.

E come uscirne allora?

La verità è che bisogna ricominciare a ragionare nei termini politici che soltanto negli anni ’50 e ’60 diedero voce al dibattito incentrato sulla necessità di cominciare a contrastare lo strapotere delle regioni. Quindi i passaggi fondamentali secondo a me a questo punto sono: innanzitutto commissariare la Sicilia, la cui condizione di gravità e di emergenza è sicuramente cento volte peggiore persino di quanto possa essere il caso Roma nelle mani di Ignazio Marino, perché – al di là dei danni fatti da Crocetta – stiamo comunque parlando di una terra importante del Mediterraneo, che è decisiva per la posizione strategica, per la sua storia millenaria, e soprattutto per la sua capacità di influenzare o infestare l’intera nazione.

Quindi bisognerebbe intervenire immediatamente…

Senza dubbio: intanto perché, come dicevo, siamo in presenza di una situazione drammaticamente emergenziale ormai da troppo. Se non c’è famiglia in tutto il Bel Paese che non abbia almeno un disoccupato, in Sicilia il dato va moltiplicato per trenta.

Ma per intervenire tu cosa intendi?

Intendo dire che è necessario ripetere l’esperimento che venne fatto con Cesare Mori. Del resto è inimmaginabile pensare di poter governare la Sicilia attraverso un passaggio politico. Il problema, insomma, non è sostituire Crocetta: il problema è intervenire in una situazione al limite in cui non si può amministrare col ricatto del consenso, perché sono innumerevoli le clientele. Così tante le sacche di emergenza e di mobilitazione che è impensabile che pure un nuovo presidente di Regione possa risolvere la situazione. C’è bisogno di un commissario: e quindi, quando Matteo Renzi discute il Titolo V della Costituzione, invece di perdere tempo con una finta abolizione delle Province, dovrebbe provvedere a commissariare la Sicilia, togliere lo statuto speciale e poi procedere con un periodo di governo gestito da un commissario: questi, per me, sono gli imprescindibili passaggi chiave da seguire.

Un’ultima domanda: Grillo ha suggerito all’Europa di non destinare fondi all’Italia perché, almeno in tre delle sue Regioni – Sicilia, Campania e Calabria – finirebbero nelle casse di mafia, camorra e ‘ndrangheta. Come commenti?

Semplicemente dicendo che ha ragione: è un discorso crudo e concreto e fa il paio con tutta una serie semplice di cose che non possono essere valutate con il metro della demagogia, ma del realismo…

 

 

 

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