Più poveri, più depressi: la crisi economica minaccia la salute mentale degli italiani
Quando si dice che l’immagine della Merkel, di Olli Rhen e di Van Rompuy (che ricorda tanto il “vampiro” del regista espressionista Theodor Dreyer) sta turbando i sonni degli italiani, producendo cronici stati di ansia e di umor tetro ,non si dice tanto una battuta ma si descrive un fenomeno che si sta purtroppo diffondendo. Ci avverte infatti un rapporto dell’Istat che, proprio per effetto della crisi, sta peggiorando la salute mentale degli italiani. «La depressione – si legge nella ricerca – è il problema mentale più diffuso e riguarda 2,6 milioni di persone con prevalenze doppie tra le donne in tutte le eta L’indice che definisce la salute mentale, spiega il documento, è sceso di 1,6 punti nel 2013 rispetto al 2005, in particolare per i giovani fino a 34 anni (-2,7 punti), soprattutto maschi, e gli adulti tra 45-54 anni (-2,6)». Le categorie più colpite dalla depressione coincidono perfettamente con quelle più duramente coinvolte dalla discesa del Pil e dall’aumento della disoccupazione.
Intendiamoci, non c’era certo bisogno dell’Istat per sapere nei periodi di crisi economica le persone tendono a essere più tristi. Però qui si parla di salute mentale a rischio per una parte crescente della popolazione. Si parla di infelicità cronica, di indebolimento psicologico, di caduta delle energie spirituali: tutte cose difficili da misurare, ma che però alla fine incidono sulla qualità della vita di un Paese. È paradossale che emerga il rapporto tra salute mentale dei cittadini e pil dell’economia nazionale proprio negli anni in cui, da più parti (anche se solo, al momento, come intrigante suggestione intellettuale), si propone l’ “indice di felicità” delle persone come misuratore della prosperità dei popoli, in alternativa alle grandezze numeriche del prodotto interno lordo. In realtà, il paradosso è solo apparente, perché la “dittatura dei numeri” , espressa oggi negli algoritmi che orientano i movimenti dei capitali finanziari, è una forma di potere ideologico sempre più oppressivo. È astrazione pura e quindi dominio nella forma più disumana. Nei grafici dei superburcrati di Bruxelles e degli alti consulenti finanziari la vita concreta delle persone è ridotta a numero e a curva. Quando la politica poteva ancora contare su una sovranità democratica (e aveva quindi margini di manovra per rispondere alle esigenze dei cittadini) i poteri fondati sull’astrazione dovevano sempre venire a patti con la realtà. Ma oggi, che la politica insegue la sua ombra e che gli algoritmi dettano le garndi strategie economico finanziarie, le persone (e i popoli) sino ridotti a numeri. E parole come felicità e prosperità perdono di senso.