Riforma del Senato, ancora un rinvio. Slitta il voto in Aula e Renzi inizia a vedere nero…
Doveva essere il giorno della verità al Senato con l’inizio delle votazioni sui quasi 8mila emendamenti al disegno di legge Boschi sulle riforme. E invece è stato il giorno del rinvio. L’ennesimo. Tra dissidenti democratici pronti a silurare il premier “che va di corsa”, frondisti e malpancisti il cammino del provvedimento “epocale” si conferma molto accidentato. Dopo le contestazioni di Sel e Cinquestelle all’intervento di apertura del ministro Boschi, la seduta si è aperta nell’incertezza più totale tanto che a sorpresa è arrivata l’apertura della relatrice Anna Finocchiaro su alcune modifiche per evitare il muro contro muro. «Ci sono alcuni punti – ha detto l’ex ministro della Giustizia – che meritano un approfondimento. Innanzitutto gli istituti di democrazia diretta come i referendum e le leggi di iniziativa popolare; il ruolo del Senato nel rapporto con la legislazione europea; il bilancio e le nomine a cominciare da quella del presidente della Repubblica». Così il voto sugli emendamenti è slittato di una giornata. L’unico “successo” incassato dal governo è stata la bocciatura scontata delle prerogative M5s-Sel, ovvero la sospensione dell’esame delle riforme e il ritorno in Prima commissione per un ulteriore approfondimento. Solo sui primi due articoli del ddl Boschi sono stati presentati 4500 emendamenti, i più delicati perché riguardano la funzione, la composizione e l’elezione del nuovo Senato. Toccherà al presidente Pietro Grasso annunciare all’Aula quanti di questi sono stati dichiarati ammissibili e dunque verranno posti in votazione: insomma la battaglia parlamentare è solo all’inizio. Renzi non molla, dall’Africa, dove si trova in missione istituzionale, ostenta sicurezza («non credo che questo Paese sia nelle mani di una minoranza che vuole fare ostruzionismo») e punta a chiudere entro la fine di luglio. Ma i contrari non arretrano: lo scoglio da superare è rappresentato da quasi ottomila emendamenti presentati dalle opposizioni (5900 solo da Sel) e dai dissidenti di Pd, Forza Italia e Nuovo centrodestra. Finora anche la Lega resta orientata per il no anche se è disposta a ragionare su eventuali modifiche, Matteo Salvini ha ribadito che «il Senato così com’è, dal mio punto di vista non serve. La riforma non la votiamo». Per questo il premier teme come la peste la concessione del voto segreto in Aula che farebbe aumentare in modo esponenziale il numero dei franchi tiratori, mettendo a rischio l’approvazione del provvedimento su cui si sta giocando il tutto per tutto. «Penso che il provvedimento sulle riforme costituzionali sia inconsapevolmente autoritario, nemmeno il governo voleva questo esito, per cui adesso dobbiamo correggere in Aula e speriamo di riuscirci», ha detto il democrat Corradino Mineo