Sigilli all’AlexanderPlatz, la prima “casa del Jazz” d’Italia. Marino potrebbe salvarlo, ma non risponde agli appelli
Non è solo un locale, l’AlexanderPlatz. Prima che aprisse, trent’anni fa, a Roma e in Italia nessuno faceva jazz stabilmente. Ora rischia di chiudere per sempre, a causa di uno sfratto moroso. L’8 luglio l’ufficiale giudiziario ha apposto i sigilli e tra pochissimi giorni, il 28 luglio, lo sfratto diventerà esecutivo.
A quel punto non ci sarà più nulla da fare e a sparire non sarà solo l’impresa culturale di una famiglia, i Rubei, che per una vita ha investito soldi e passione in questa attività. A sparire sarà un presidio culturale cittadino, uno di quei posti – non così comuni – in cui un’espressione artistica riesce a essere insieme sofisticata e popolare. «Stiamo cercando degli aiuti per aprire una scuola di musica dentro l’AlexanderPlatz, basterebbe un contributo minimo, poche migliaia di euro, del Comune per evitare la chiusura definitiva», ha spiegato all’agenzia TmNews, Eugenio Rubei, direttore artistico dell’Alexanderplatz e figlio del patron storico Giampiero. L’appello alle istituzioni romane è un inedito per questa famiglia di imprenditori della cultura, che per tre decenni è riuscita a sopravvivere e far sopravvivere questa “avanguardia” con le sole proprie forze. «Trent’anni di lavoro e mai un contributo pubblico, portare avanti un’attività culturale nel mondo del jazz non è certo redditizio», ha proseguito Eugenio Rubei, ricordando gli anni di collaborazione proficua con Gianni Borgna, morto il quale «è crollata un’impalcatura di progettualità». Quello toccato dal direttore artistico dell’AlexanderPlatz è, però, un nervo scoperto che non riguarda solo il jazz, ma tutta la proposta artistica capitolina. Borgna riuscì a portarla a livelli da ribalta internazionale, Marino la sta annichilendo passo passo. A partire proprio dalla più rappresentativa delle creazioni del compianto assessore alla Cultura di Roma: l’Estate romana. Borgna la inventò, Marino l’ha, di fatto, ridotta al lumicino con un bando 2014 che ha tagliato drasticamente i fondi e fatto chiudere i battenti ad alcune delle proposte più interessanti. Fra queste l’altra produzione di punta dei Rubei: Villa Celimontana Jazz. La festa è finita sotto la mannaia dei tagli del primo cittadino, giudicata dalla “sua” commissione di esperti priva dei requisiti per essere allestita. Di più, anche la Casa del Jazz, di proprietà del Comune, diretta negli ultimi tempi da Rubei padre con l’apprezzamento degli addetti ai lavori, è stata destinata a una fine ingloriosa, considerata la sua destinazione originaria: in questa estate è stata utilizzata come location dalla Festa dell’Unità, come fosse un qualsiasi parco in cui vendere panini con la salsiccia e fare dibattiti politici e non un luogo con una sua specifica vocazione artistica. A conti fatti, dunque, se nulla si muoverà per salvare l’AlexanderPlatz di via Ostia, Roma rischia di rimanere orfana di un’arte raffinata in cui, grazie ai Rubei, è stata invece palcoscenico innovativo a livello nazionale. Uno scenario la cui responsabilità politica peserà sulle spalle di questa giunta, finora rimasta silente.