Vite spezzate: l’omicidio stradale non è ancora legge dello Stato. Chi si oppone faccia un esame di coscienza

21 Lug 2014 13:10 - di Francesco Signoretta

Le lacrime di una madre colpita dal dolore più grande. Le lacrime degli amici, che stentano a crederci. Le lacrime dei fratelli. Una scena che si ripete, una, dieci, mille volte. Troppe volte. Le foto sui giornali, i funerali con centinaia di persone, l’applauso. E poi il rito “laico”, i fiori portati sul luogo dell’incidente, gli striscioni di addio, l’andirivieni di curiosi,le immagini messe lì, come tanti santini, quasi a invocare la presenza di chi non c’è più. Poi si cala il sipario e resta il dolore dei familiari e degli amici più stretti, di una vita spezzata e di altre vite lacerate. E ogni volta che si verifica l’ennesimo incidente stradale, quel dolore si rinnova, torna come il primo giorno, si rivedono le stesse scene, si leggono le stesse cronache sui giornali. E ci si rende conto che in giro ormai c’è una terribile abitudine, una sorta di assuefazione alla notizia. E nessuno ascolta l’urlo di chi chiede che si faccia qualcosa, che il permissivismo ha prodotto fin troppo sangue. Non servono più le campagne di sensibilizzazione, hanno prodotto effetti minimi, c’è l’abitudine persino a sentir parlare di “stragi del sabato sera”, manco fosse un film, una scena della “febbre del sabato sera”. Occorre incidere, non si può accettare passivamente la tragedia dei bimbi travolti dai pirati della strada, non si può accettare che i giovani si schiantino con l’auto per soddisfare la voglia di correre o peggio perché guidano sotto l’effetto di alcol o sostanze stupefacenti. Ma in Italia c’è sempre chi affronta nodi cruciali con un ideologismo dannoso. La normativa che dovrebbe istituire l’omicidio stradale è ancora all’esame del Parlamento. Ha appena ricevuto il sì della Commissione Trasporti, ma non si sa quando potrà diventare legge dello Stato. E intanto sulle strade si continua a morire e si continua aparlare di “pirati della strada” da additare al pubblico ludibrio. Troppo semplice la condanna dei cittadini non basta: ci vuole quella (adeguata al reato)  della legge. Negli ultimi anni qualche passo era stato fatto, ora però siamo tornati indietro: se si decidevano maggiori controlli nelle strade c’era chi – aiutato dalla stampa amica – gridava allo scandalo perché a suo dire le città venivano “militarizzate”. E da qui la caccia al “fascista” che aveva proposto di aumentare i controlli. Se si cambiavano i parametri del tasso alcolico c’era chi gridava allo scandalo perché “in fondo che danno fa un bicchiere di vino in più a cena?”. Per non parlare degli spinelli. I punti della patente,che (sempre tra le critiche dei soliti noti) hanno prodotto risultati apprezzabili, sono stati svuotati del loro effetto deterrente, perché la gente ci si è abituata e perché i governi di centrisinistra ne hanno annacquato la capacità di incidere.  Un punto di vista coerente con gli ostacoli che vengono frapposti all’istituzione dell’omicidio stradale. C’è una certa politica che non fa nulla per asciugare le lacrime delle madri. E che deve farsi un esame di coscienza.

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