“Del Piero resterà in India solo tre mesi. Almeno così gli hanno fatto credere…”
Ci ha pensato Twitter a chiudere il caso-Del Piero con una battuta fulminante lanciata dal blog di satira politica Spinoza.it: “Alex Del Piero resterà in India solo tre mesi. Almeno così gli hanno fatto credere”. Sottotitolo: lo lasceranno davvero tornare o faranno come con i marò? Divertente. Ma tutto sommato c’è poco da ridere. Il dibattito aperto da Giorgia Meloni sull’opportunità per il calciatore italiano di accettare un’offerta in India, un Paese dal quale in nessun modo riusciamo ad ottenere la restituzione dei marò Massimiliamo Latorre e Salvatore Girone, aveva come obiettivo quello di segnalare al Paese reale che qualche gesto simbolico dei propri idoli, a fronte di una fallimentare attività politica e diplomatica del nostro governo, sarebbe davvero utile alla causa e resusciterebbe anche un po’ del nostro smarrito senso di orgoglio nazionale.
«Del Piero non ha bisogno né di soldi né di fama visto che è un simbolo indiscusso del calcio italiano e un’icona mondiale di questo sport. Una rinuncia a giocare in India da parte sua sicuramente non passerebbe inosservata e potrebbe essere un importante segnale nei confronti del governo indiano e della comunità internazionale», aveva detto la Meloni. La politica, in quest’ottica, c’entrava poco o nulla, semmai quelle parole tiravano in ballo l’opportunità, la dignità, il senso delle istituzioni, roba non certamente di parte.
Ma l’icona del calcio italiano, l’uomo chiamato a fornire con un gesto simbolico un segnale preciso, da questa tasca non ci ha voluto sentire. E l’ha messa, lui sì, su un piano politico, tirando in ballo presunte “strumentalizzazioni”. Del Piero ha fatto un ovvio riferimento ai rapporti economici che l’Italia intrattiene con l’India, scolpiti nel segno di solidi affari e intrecci con colossi nostrani (anche con importanti strascichi giudiziari, purtroppo), chiedendosi come mai la presa di distanza non avvenga a quel livello, invece che sul piano sportivo. Senza stare a ricordare le Olimpiadi boicottate dai governo nazionali per motivi squisitamente politici, decisioni sgradevoli ma accettate con senso dello Stato dagli atleti costretti a rinunciare, è evidente che spostare l’attenzione sul tema di un boicottaggio economico rende la discussione impossibile da sostenere. È chiaro che sfidare l’India sul piano commerciale (oltre che su quello militare, ovviamente) sarebbbe un azzardo, non solo per la causa dei due marò ma anche per i mille risvolti di carattere geopolitico che un paese marginale come il nostro, sullo scacchiere internazionale, sarebbe costretto a fronteggiare. Allora, per aiutare i marò a tornare in Italia e a ricevere un giusto processo, serve la diplomazia, anche quella del pugno di ferro che finora non s’è vista. O il coinvolgimento serio dei nostri tradizionali partner internazionali, cosa anche questa non avvenuta. O, infine, la mobilitazione dei media, della pubblica opinione, quella italiana e quella indiana, che forse neanche conosce bene i termini della questione: bisogna portare la discussione a un livello più basso degli intrighi e dei mon chery al veleno della diplomazia. Ecco perché sarebbe servito qualcosa in più di un un timido attestato di attenzione di Alex nei confronti dei due marò italiani, seguito da un lauto ingaggio a Nuova Delhi nel nome del marchio di fabbrica calcistico “made in Italy”. Per soli tre mesi, si spera.