Gli 007 di Kiev catturano i parà russi e li costringono a rinnegare Mosca in un video. Metodo vietcong?
Preoccupante escalation nella gestione e nel trattamento dei prigionieri da parte dell’Ucraina: il governo di Kiev ha diffuso testimonianze video di alcuni dei 10 paracadutisti russi catturati lunedì nell’est dell’Ucraina e appartenenti al 331° reggimento della 98ma divisione aviotrasportata con base nella Russia centrale. Si tratta della prima prova materiale dello sconfinamento delle truppe russe ripetutamente denunciato da Kiev. Alcuni di loro sosterrebbero negli interrogatori di non essere stati messi al corrente dell’obiettivo della loro missione o di aver pensato di partecipare a delle manovre. Ma la cosa grave è che i servizi di Kiev hanno costretto i prigionieri a parlare contro il loro Paese, strumentalizzandoli a fini mediatici: «Ci usano come carne da cannone», «ci avevano detto che erano esercitazioni», «la tv russa non racconta la verità», sarebbero alcune delle frasi uscite dagli interrogatori, diffusi sui media ucraini, dei 10 parà russi catturati dai servizi segreti di Kiev nel proprio territorio. Interrogatori da prendere con cautela, trattandosi di prigionieri, ma che aprono nuovi squarci sul conflitto in Ucraina. I più racconterebbero di essere arrivati in treno a Rostov sul Don a metà agosto e di aver ricevuto l’ordine di cancellare i numeri dei mezzi blindati da usare in una non meglio precisata esercitazione. «Ho capito di essere in Ucraina e che non erano esercitazioni quando hanno aperto il fuoco e danneggiato il mezzo blindato su cui mi trovavo», ha sostenuto il caporale Ivan Romantsev. «È possibile ritrovarsi in territorio ucraino e perdersi durante il tragitto?», chiede l’intervistatore ucraino. «No, perché c’era tutta la compagnia», risponde Romantsev. «Come vi accoglieranno in Russia?», incalza l’intervistatore. «Non ci uccideranno, ma ci metteranno in prigione», replica il parà, ammettendo che «in Ucraina c’è la guerra tra Ucraina e Russia». Come si vede, è evidente che i militari sono stati costretti magari con la promessa di una rapida liberazione, a dire quello che il governo ucraino, ma soprattutto l’Occidente, vuole sentirsi dire. Un altro commilitone, il caporale Artiom Milchakov, racconta che il convoglio viaggiava lungo i campi, non sulle strade, e che a lui era stato detto solo che erano in marcia per 70 chilometri, per tre giorni. Milchakov è stato costretto anche a rendere conto del fatto che sulla sua pagina Facebook aveva annunciato la sua partenza per la guerra, per «spazzare via il Maidan». Richiesto di dare le sue opinioni personali, il parà afferma che «l’Ucraina è indipendente» e che dovrebbe risolvere i suoi problemi internamente, senza interferenze esterne. Gli fa eco il sergente Alexiei Gheneralov: «Smettete di inviare qui i nostri ragazzi. Non è la nostra guerra, se non fossimo qui non sarebbe successo nulla. Sono gli ucraini che devono risolvere i propri problemi, il Paese deve essere unito». Insomma, il metodo è noto da sempre: i progionieri sono catechizzati e obbligati a dire quello che vogliono i carcerieri. Successe in Vietnam, succede in Siria e in Iraq, probabilmente succederà sempre. Preoccupa che lo faccia un governo europeo per agiunta “associato” (in fretta e furia” alla Ue. Dopo lo sconfinamento parte la grancassa mediatica contro Mosca, vero obiettivo della propaganda: «Le incursioni militari della Russia in Ucraina costituiscono una escalation significativa», ha affermato la Casa Bianca, sponsor di Kiev, dopo che l’Ucraina ha annunciato la cattura di alcuni soldati russi sul proprio territorio. Mosca non smetisce la circostanza: «I soldati russi catturati in Ucraina hanno sconfinato con ogni probabilità per caso durante un pattugliamento e non hanno opposto alcuna resistenza», ha riferito una fonte del ministero della Difesa russo a Itar-Tass. «I militari in questione partecipavano a dei pattugliamenti alla frontiera russo-ucraina e l’hanno attraversata con ogni probabilità casualmente su un tratto senza demarcazione», ha sostenuto la fonte. È appena il caso di ricordare che i parà sono un corpo d’èlite della Russia, e che non parlerebbero mai contro la loro patria se non costretti da argomenti “convincenti”. Intanto è giallo sulla morte – vera o presunta – di almeno due paracadutisti russi della 76/ma divisione aviotrasportata di Pskov, accusata nei giorni scorsi da Kiev di essere entrata nell’est ucraino a sostegno dei separatisti filorussi. Il sito liberale Slon.ru pubblica le foto delle tombe di due parà, Leonid Kiciaktin e Aleksandr Osipov, che sarebbero morti rispettivamente il 19 e il 21 agosto scorsi «in circostanze non rese note», secondo un testimone che avrebbe partecipato ai funerali nel villaggio di Vibuti, vicino a Pskov. Ad accrescere il mistero e’ il fatto che qualche giorno fa un giornalista russo, Ilià Vasiunin, della testata Il pianeta russo, aveva diffuso su twitter la schermata della pagina di Kiciaktin su Vkontakte (il Facebook russo), dove appariva un annuncio a nome della moglie sulla tragica morte del marito. Ma in Ucraina orientale si continua a morire: almeno tre civili sono morti in un bombardamento di artiglieria ucraina che ha colpito nella notte i quartieri Petrovski e Kivski, a Donetsk, in Ucraina orientale. Lo riporta il consiglio comunale della città roccaforte dei ribelli filorussi. Offensiva sanguinosa confermata dal governo ucraino: le forze armate ucraine infatti sostengono di aver ucciso 247 miliziani separatisti nelle ultime ore, annunciando di aver anche distrutto due carri armati, otto blindati, due lanciamissili Grad Bm-21, quattro veicoli e un pezzo di artiglieria. La notizia naturalmente non è verificabile in maniera indipendente.