I Paperoni cinesi hanno conquistato l’Italia. Perché i nostri soldi se li è mangiati il fisco
Negozi cinesi ovunque. Nei quartieri periferici e in quelli snob, nelle metropoli e nelle piccole cittadine di provincia. Un’invasione. Abbigliamento, cartolerie, casalinghi. Frutta e verdura, ma anche ristoranti e persino pizzerie, dove la margherita viene scippata alla tradizione napoletana e consegnata al fai-da-te con gli occhi a mandorla. Ma soprattutto capannoni, dove si trova di tutto all’ingrosso e dove spesso vanno a rifornirsi i piccoli commercianti italiani, costretti alla resa dall’impossibilità di competere con il gigante pechinese. Spesso è tutto in regola, ci sono gli scontrini fiscali, anche se si ignora la punta dell’iceberg, e cioè da dove provengono i soldi per aprire attività di dimensioni così enormi, non certo da chi ci lavora, costretto com’è a turni massacranti, domeniche e festivi compresi, per guadagnarsi da vivere. Altrettanto spesso, invece, niente è in regola, c’è una sorta di nuova schiavitù, non c’è alcun controllo sui prodotti, quando vengono fatti scoppia lo scandalo perché nocivi. Fatto sta che qualche anno fa c’era l’allarme dei cinesi che andavano alla conquista dell’Italia (allarme ignorato per il timore di essere etichettati come razzisti, per il solo fatto di voler difendere la produzione nostrana), mentre adesso, supinamente, la stessa Italia è consapevole di essere stata già conquistata e sottomessa alla macchina da guerra di Pechino. I dati parlano chiari e riguardano l’ultimo periodo: si registra il più alto boom dell’imprenditoria cinese in Italia, pari a +6,1 per cento di fronte al nuovo triste crollo di quella italiana, che perde un ulteriore 1,6%. In Lombardia, in Toscana, nel Veneto e in Emilia Romagna si concentra il 60% circa degli imprenditori provenienti dall’impero celeste. Stando ai numeri assoluti, segnala la Cgia, sembra che almeno una parte dell’imprenditoria presente nel nostro Paese non conosca la crisi. Stiamo parlando delle aziende guidate da stranieri che, tra il 2012 e il 2013, sono aumentate del 3,1%, toccando, in valore assoluto, quota 708.317. Quelle condotte da cinesi hanno addirittura registrato un vero e proprio boom, superando di poco la soglia delle 66.000 unità. Niente a che vedere con lo sconfortante risultato conseguito dalle imprese italiane che, purtroppo, sono diminuite dell’1,6%. Degli oltre 708mila imprenditori stranieri presenti nel nostro Paese, il Marocco è il Paese di provenienza che ne conta il maggior numero: 72.014. Segue la Romania, con 67.266 e, subito dopo, la Cina, con 66.050. Di fronte a queste cifre, che comunque sono allarmanti, si aspetta il colpo di reni della nostra imprenditoria. Un colpo di reni impossibile se continuano a persistere le catene burocratiche imposte dai governi di centrosinistra. Con i nostri soldi mangiati dal fisco, fino all’ultimo centesimo.