Sinistra al governo: la vicinanza ai poteri forti non porta benefici. Anzi…
Sono bastate nove parole, al presidente della Bce Mario Draghi, per rigettare nel panico la politica italiana: «È arrivato il momento di cedere sovranità all’Europa». Nove parole accompagnate da altre tredici che pesano come macigni: «L’incertezza sulle riforme è un freno molto potente che scoraggia gli investimenti». Due frasi brevi, ma paurose e tonanti, che spazzano via i castelli di sabbia costruiti dalla classe dirigente del Pd dall’inizio della diciassettesima legislatura ad oggi. Nell’Italia della Quaresima infinita le tasse producono altre tasse per il (perverso) combinato disposto tra recessione e aumento della forbice tra debito e Pil. Il piffero magico di Renzi non fa più magie. E l’Italia si ritrova nel solito pantano, oppressa da poteri forti sempre più forti e da micropoteri diffusi e paralizzanti (Regioni, sindacati, burocrazie).
La leggenda della sinistra che riuscirebbe a fare una politica di “destra” meglio della destra stessa si sta rivelando per quello che è: una isulsa mistificazione. E anche i più ingenui capiscono che la vicinanza ideologica ai poteri forti non produce benefici politici. I padroni della moneta e della finanza non fanno sconti a nessuno. Il giorno dopo lo schiaffone di Draghi il sarcasmo è più che legittimo. Come quello di Storace: «Il bicameralismo rimane. Solo che al posto del Senato la sfiducia al governo la dà il numero uno della Bce. Draghi e vampiri». O come quello di Grillo: «Draghi ha licenziato il terzo cameriere, dopo Monti e Letta è l’ora di Renzie». Viene al pettine il nodo di fondo della politica italiana di questi anni: quando la sinistra riesce ad agguantare il governo, lo fa per i demeriti altrui, non già per le virtù proprie. E non si vede davvero che cosa lorsignori abbiano da gioire per il passaggio al Senato del ddl riforme (con un maggioranza peraltro esigua), quando le grandi questioni della scarsa competitività del sistema italiano rimangono ancora sul tappeto. A partire dalla mancata riforma del mercato del lavoro. Finora c’è solo un titolo in inglese: jobs act. Ma il vero braccio di ferro (con la Camusso e con la sinistra interna del Pd) Renzi non lo ha ancora nemmeno tentato. Non sappiamo se ciò accadrà in autunno. Rimane comunque il fatto che è stato già perso tempo prezioso. E i poteri forti ne traggano il pretesto per attaccare pubblicamente il principio della sovranità.