Augello: «La gerontocrazia? Governa il Paese. E Berlusconi è un’icona della terza età»

4 Set 2014 11:38 - di Priscilla Del Ninno

Due icone universali e intramontabili di fascino e seduzione come Sofia Loren e Brigitte Bardot, allo scoccare delle ottanta primavere ancora splendidamente in servizio effettivo e permanente, devote al mito cinematografico come alla causa ecologista. L’ex sindaco di New York, Michael Bloomberg, che a 72 anni torna a fare il suo mestiere di magnate dei media a tempo pieno, riassumendo la leadership del suo impero dell’informazione, Bloomberg Lp, di cui detiene ancora l’88%. E – a compendio di un quadro complessivo che di ora in ora va ad accrescere il popolo dei capelli grigi sempre in carriera, in amore e in viaggio – se ne potrebbero sciorinare altre decine e decine di esempi illustri di come la soglia morettiana dello splendido quarantenne si sia ormai ampiamente spostata su ben altri standard demografici. Ne abbiamo parlato con il senatore di Ncd Andrea Augello, attento osservatore dei costumi italici e – a dispetto del blasone politico e dell’autorevolezza dei ruoli da lui fin qui ricoperti – dall’aspetto imperturbabilmente giovanilistico.

«Il problema  – ci ha detto – è di matrice ideologica: si va approssimando ai settant’anni una generazione che culturalmente è giovanilista e che si sta rifiutando di invecchiare e abdicare. O meglio: le persone che sono nate dopo il 1950 appartengono ad un humus antropologico che non è mai invecchiato, ancora decisamente afflitte dalla sindrome di Peter Pan, che hanno fatto dei jeans una bandiera anche se agé, che ancora vent’anni fa litigavano con i figli perché non occupavano le scuole. Quella generazione, prima ancora che per puri trucchi chimici di eterna giovinezza che si annidano nel Viagra, piuttosto che per la devozione a ingredienti tipici di una rinvigorente dieta iper proteica o alla rigenerante disciplina fisica quotidiana, è una generazione che culturalmente rifiuta l’invecchiamento.

Una realtà a cui guarda con sospetto o positivamente?

A cui guardo come a un dato patologico: diventare vecchi è un fatto biologico, rifiutarlo significa rinnegare la realtà. Come dicevo prima: lo considero come un dogma culturale tipico di una generazione. Una lettura a cui si aggiunge una considerazione di carattere più generale, che riguarda l’invecchiamento della popolazione nei Paesi occidentali che, per effetto di tutta una serie di fattori, ha fatto sì che si spostasse un po’ più avanti la lancetta della terza età. Ma non sono sicuro che questa sia una condizione necessaria e sufficiente a giustificare la convizione per cui a settant’anni si possa vivere una seconda gioventù. Anche se, certamente, è molto migliorata complessivamente la qualità della vita, soprattutto in considerazione delle molteplici attività preventive che vengono svolte sul piano medico, dell’alimentazione e della cura personale. Il che, da un punto di vista sociale e più strettamente demografico, non c’è dubbio che comporti un costo che non si sa più come fronteggiare.

Come a dire che sono troppe le persone anziane a cui versare la pensione e dedicare assistenza, soprattutto rispetto a un calo demografico registrato sulle nuove generazioni? 

Medici e amministratori hanno questo nodo da scigliere.

E declinare queste considerazioni di carattere socio-culturale che ha appena enucleato al quadro politico, a quali conclusioni la porterebbe?

Intanto a considerare il fatto che il simbolo della convinzione, che non è necessario invecchiare, è Silvio Berlusconi: il quale è indubbiamente riuscito a creare un’icona diventata oggi una vera e propria bandiera della terza età. È la personificazione vivente dell’idea ottimistica che si possa fare qualunque cosa a qualunque età: e molto più di quanto ancora non appaia. Non a caso, peraltro, l’elettorato di Forza Italia ha un baluardo importantissimo nelle persone che variano dai sessanta ai settant’anni.

E il fatto che abbiamo un premier decisamente giovane come si situa all’interno di questa sua disamina?

Avere un premier relativamente giovane rispetto alla media europea è un fatto talmente innovativo che ritengo Renzi abbia conseguito il 40% dei voti solo in considerazione della sua giovane età. Altrimenti non ci si potrebbe spiegare come mai, prima ancora di cominciare a fare qualcosa per il Paese, l’ex sindaco abbia riscosso tanta popolarità e una massiccia fiducia elettorale della gente, pronta a confidare aprioristicamente in lui. Ciò non toglie, poi, che dal punto di vista dell’età media della classe politica e, soprattutto, della classe dirigente italiana, noi “vantiamo” l’elìte più matura d’Europa, usando il termine “matura” in chiave eufemistica. E se consideriamo il fatto che abbiamo dovuto fare una legge indirizzata a specificare che i direttori generali dei ministeri quanto i manager delle aziende in pensione non possono essere riassunti con contratti di consulenza presso gli istituti per cui lavoravano, si capisce il perché. Un provvedimento che ha quanto meno del paradossale e che non esiste in nessun’altra parte d’Europa – perché non è stato necessario vararlo – e che dà l’idea della insostituibilità della gerontocrazia che governa il nostro Paese…

 

 

 

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