Campi: in FI servono facce nuove per affrontare la macchina da guerra di Renzi

27 Set 2014 14:46 - di Gloria Sabatini
Non c’è nessuna guerra fredda in atto: ai piani alti di piazza San Lorenzo in Lucina la parola d’ordine è minimizzare le fibrillazioni sulla riorganizzazione interna, la selezione della classe dirigente, il ruolo dell’opposizione al governo Renzi appannata dal Patto del Nazareno. E i protagonisti del duello (tra seniores e nuove entrate sponsorizzate da Berlusconi, deciso a investire sui circoli “Forza Silvio” per rottamare il vecchio) tengono segrete le mosse. Giovanni Toti, consigliere politico del Cavaliere, assicura che è in atto «un normalissimo dibattito che riguarda la linea politica» e assicura il malpancista Raffaele Fitto dal rischio di diventare un “partito renzologo” che guarda troppo fuori casa. L’ex governatore della Puglia, forte del suo bottino elettorale di  300mila voti alle europee, spegne le polemiche interne enfatizzate dalla stampa ma non rinuncia al suo ruolo di Grillo Parlante. «Se fosse vero quello che si legge sui giornali, ma non ci credo, saremo di fronte a un super casting come al Grande Fratello. Per me i valori di riferimento sono la capacità o l’incapacità di un dirigente, il consenso o la mancanza di consenso». Tutto inventato dai giornali in cerca di titoli? Non proprio. Per Alessandro Campi, politologo e docente di Storia dei partiti politici, il terremoto esiste e la rottamazione una necessità. «Una matrice movimentista è sempre stata nel Dna di Forza Italia. Oscillazioni e fibrillazioni sono inevitabili, soprattutto oggi perché senza un rinnovamento radicale per il centrodestra è impossibile competere con il fenomeno Renzi. Il premier è una macchina da guerra, ha modificato e stravolto i codici della politica, è bulimico, inarrestabile, abile comunicatore. Senza cambiare pelle l’impresa diventa impossibile».
Quindi largo a facce nuove a discapito del corpaccione del partito, che finora non ha mai tradito il capo? 
Fin dalla nascita di Forza Italia, periodicamente Berlusconi ha annunciato progetti di azzeramento e di ripartenza, soprattutto per tenere sulle spine la classe dirigente, tenere saldo in mano il timone della nave, far capire chi è che comanda. Ma questa volta c’è dell’altro.
Si rispolvera il mantra dell’apertura alla società civile e torna l’innamoramento per giovani promesse non politiche?
Archiviare il vecchio oggi è una necessità concreta; per avere qualche chance di successo di fronte al modello renziano. Soprattutto ora che Berlusconi non è più spendibile in prima persona, deve assolutamente tirare fuori un nuovo coniglio dal cilindro. Diciamo la verità: con questo gruppo dirigente, fatto di buoni professionisti della politica, non credo Forza Italia  possa andare lontano.  Deve, invece, rispondere all’avversario con un’alternativa credibile che abbia caratteristiche simili. A partire dall’età, perché il fattore-giovane ha fatto ormai breccia nell’opinione pubblica. La gente ha fame di novità.
Tanti temono una stagione di  parvenue senza qualità, giovani rampanti di bell’aspetto senza esperienza e cultura politica…
Non credo che Berlusconi si rivolgerà a quella tipologia. Dovrà aprire le porte ai gangli che provengono dai rami bassi del livello locale, ad amministratori capaci che nessuno conosce e che rappresentino il nuovo. Del resto in un partito privo di linee gerarchiche definite e di correnti organizzate nessuno emerge se non viene cooptato dall’alto. Dare vita a una nuova classe dirigente significa essere in grado di utilizzare  le energie sul territorio tenute ai margini dai vertici, le realtà compresse dalla vecchia guardia. Questa sarebbe un’operazione coraggiosa e utile al partito.
Un altro spartiacque è rappresentato dal modello di opposizione: un’area forzista spinge ad alzare il livello e un’altra sembra coltivare velleità governative
Si è caricato il Patto del Nazareno di significati eccessivi. L’accordo tra Berlusconi e Renzi è stato utile al Cavaliere per rimettersi in pista. Oggi il problema del centrodestra non è fare l’opposizione dura in Parlamento ma produrre un’alternativa seria fatta di programmi e uomini.

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