Ciccio Mira e le periferie di Palermo: una rivelazione. Il «Belluscone» di Maresco non è poi così male
La rivelazione è Ciccio Mira. Tant’è che, ad un certo punto, pensi che in realtà lui sia un consumato attore, un esperto caratterista. E invece no. Invece bisogna arrendersi all’evidenza. Lui Francesco Mira, settantenne palermitano, impresario di cantanti neomelodici che mandano in visibilio le periferie consumate di Palermo, è un personaggio reale, in carne e ossa. Vero, autentico. Cosicché già penso di aver fatto proprio bene. Saggia decisione quella di andare a vedere questo “Belluscone” di Franco Maresco. Un pomeriggio domenicale ben speso. L’appuntamento con Pietrangelo è per le 16. Direttamente al cinema “4 Fontane” che per noi è pure un posto evocativo assai: lì, proprio lì attaccato, c’è palazzo del Drago, storica sede del vecchio Msi di Michelini e Almirante. Quello che da ragazzi ci fece battere i cuori. E vivere pure tante gioie e tanti errori. Maresco personalmente non lo conosco. Ma so che coltiva il gusto del paradosso e del grottesco. E perciò sono molto curioso. Forse perché l’osanna della sinistra non m’è sembrato poi così convinto. Come neppure il rogo che alcuni a destra hanno proposto. Il tempo per un tè freddo e per un occhio alla locandina del nuovo film di Daniele Ciprì, “La Buca”, l’ex sodale di Maresco ed eccoci in sala. Saremo si e no una dozzina. Eppure a Venezia gli hanno assegnato il premio nella sezione «Orizzonti». Buio in sala. Ma cominciamo male. La storia è semplice e per nulla originale: un regista, che stava girando a Palermo un documentario su Berlusconi e la mafia, improvvisamente scompare. Ancora Berlusconi e la mafia. La mafia e Berlusconi. Da vent’anni tutti i santi giorni. Un rosario sgranato. Sai che novità. Cerco di non farmi distogliere da questi pensieri. Tatti Sanguineti recita la parte dell’amico che lo va a cercare a Palermo. Ricerca ovviamente inutile. Maresco non si trova, è scomparso. Ma ha lasciato un enorme quantitativo di video registrazioni. Ed eccolo. Improvvisamente appare lui. Ecco Ciccio Mira. E’ qui che la storia su di un film mancato si illumina e diviene arte. Proprio in questi fotogrammi in bianco e nero. Qui, con quelle sue occhiate stralunate, con quei suoi ammiccamenti contorti, con quel dire e non dire che da quelle parti equivale a dire due volte, con la messa a fuoco di una realtà difficile da credere possibile, ma più vera del vero, proprio qui Maresco mostra di aver centrato il bersaglio. Che non è infatti il Belluscone, ma la sua città. Non è il senatore Dell’Utri seduto su di un trono oro e porpora, ma la Palermo sempre in attesa di qualcuno che l’aiuti. Che si prenda in carico i problemi. Non è la manifestazione di Forza Italia con bandiere e majorettes, ma la ricerca spesso indolente di uno sbocco. Di una opportunità che migliori qualcuna di quelle esistenze disgraziate e segnate. La città sintonizzata, nel buio di notti tutte uguali, su Tv locali a telecamera fissa e che impazzisce per i cantanti neomelodici e saluta con riverenza gli «ospiti dello Stato». Una città fatta di periferie dormitorio dove lo squallore regna incontrastato e dove perciò la mafia ha sempre trovato manovalanza a buon mercato. Lì dove se il figlio pensa di fare il carabiniere lo si caccia da casa. Ovvio che in un contesto siffatto Berlusconi è solo il sogno. È l’attesa. L’attesa del miracolo prossimo venturo. Miracolo che non si è realizzato. È la speranza andata delusa che adesso si affida, nell’analisi antropologica proposta da Maresco e con la quale ovviamente non bisogna per forza concordare, al mitico Ciccio Mira e al nuovo che avanza. Probabilmente perciò a quel Matteo Renzi di cui scorrono ad un certo punto le immagini della sua apparizione, in perfetto stile Fonzie, da «Amici» di Maria De Filippi.