Il 16enne ucciso, il magistrato Bobbio non ci sta: «La vera vittima è il carabiniere»

8 Set 2014 14:25 - di Priscilla Del Ninno

A Napoli la rabbia e il dolore procedono di pari passo, e la polemica infuria spietatamente: con il risultato che la confusione aumenta, lasciando deflagrare pericolosamente rivendicazione cieca e odio metropolitano, a suggello di uno stato di illegalità diffusa, a livello sociale e morale, che tende a confondere i piani tra vittime e carnefici. A complicare il già difficile quadro, poi, la decisione della famiglia di Davide Bifolco – il diciassettenne ucciso dai carabinieri nei giorni scorsi per non essersi fermato all’alt – di diffondere sul web alcune foto choc del cadavere. Istantanee durissime che fanno naturalmente leva su un’emotività che di ora in ora sembra sul punto di esplodere, e comunque al limite dell’incontrollabile. All’apice del caos un primo barlume di verità e di chiarezza si attendeva dai risultati dell’autopsia – insieme all’esame balistico – disposta dalla Procura di Napoli alla presenza del perito nominato dai genitori del ragazzo, ma che è stata rinviata per questioni procedurali probabilmente a martedì.

In attesa delle responsi degli accertamenti scientifici, intanto, l’opinione pubblica continua a dimostrarsi spaccata a metà, tra garantismo e perdonismo, tra innocentisti e colpevolisti: e nel dibattito sull’agorà è emersa con veemenza la posizione fuori dal coro di Luigi Bobbio, magistrato sempre impegnato sul fronte del rispetto della legalità, per anni pm anticamorra a Napoli, poi senatore della Repubblica tra le fila di Alleanza Nazionale, quindi sindaco di Castellammare di Stabia (Napoli), e oggi giudice al Tribunale civile di Nocera Inferiore (Salerno). Non usa perifrasi o ricorsi a una stanca retorica il magistrato esordendo con un post che non lascia adito a dubbi d’interpretazione: «L’identikit del bravo ragazzo una volta era ben diversa da quella che oggi qualche sprovveduto vorrebbe appiccicare al morto dell’altra notte». Di questo, e delle reazioni scatenatesi in Rete sulla sua lettura dei fatti di Napoli, abbiamo parlato direttamente con il magistrato partenopeo.

Reazioni pesanti a questa sua sortita su Fb?

Una quantità di consensi, ma anche la forzata cancellazione di molti cosiddetti “amici” per le reazioni, anche violente, che queste mie dichiarazioni hanno provocato.

Peraltro non mi sembra che lei abbia ingaggiato una crociata contro il sacrificio del ragazzo…

Ci mancherebbe: non ho mai esultato per la perdita di una giovane vita, però ho anche sentito, da cittadino e da uomo delle istituzioni il dovere di dire che, nel contesto di una vicenda triste come quella che registra la morte di un adolescente, non è accettabile che si metta alla gogna, per partito preso, l’uomo delle istituzioni – in questo caso il carabiniere – sbattuto sul banco degli imputati. E in che modo… Ci può stare, allora, che l’agente venga indagato per un’ipotesi di omicidio colposo, ma certamente ritengo che non si possa giustificare – come pure i familiari della vittima hanno iniziato a fare – l’addebito di un intento doloso. E questo è ciò che mi ha fatto reagire in maniera vibrante.

Quindi ribadisce quanto postato on line, che a suo giudizio il carabiniere che ha sparato «è una vittima» di quanto è accaduto, e non il carnefice da sbattere in prima pagina?

Le dirò di più: non ci sto alla strumentalizzazione di questa vicenda portata avanti utilizzando una “falsa” immagine della vittima. Sfido chiunque, in questo Paese, a sostenere che una persona che abbia avuto una vita pregressa – oggi purtroppo finita – come quella del giovane in questione, sia un bravo ragazzo. Ai miei tempi le brave persone rispondevano ad altri requisiti… Di contro, invece, mi dispiace molto assistere ad un’evoluzione dei fatti per cui il carabiniere – oltretutto, come sappiamo, per stipendi che non possiamo certo definire lauti – chiamato a svolgere un lavoro pericoloso e rischiosissimo, su un terreno notoriamente incandescente, per colpa del comportamento di tre teppisti, oggi si ritrova a vivere una vicenda comunque difficile e delicata. Non possiamo dire, insomma, che chi non si ferma all’alt intimato da un qualunque corpo in divisa sia una persona per bene, o un individuo che è succube innocente di qualcuno o di qualcosa. Si tratta in realtà di vittime dei loro stessi comportamenti.

E lo Stato in questo contesto?

All’angolo per un incomprensibile senso di colpa, si limita a cedere la piazza a una parte della città, popolata da sostenitori dell’illegalità.

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