Cucchi, ora rischiano i secondini: «Stefano fu pestato nelle celle del Tribunale, c’è un testimone»

14 Ott 2014 16:27 - di Redazione

In primo grado l’hanno scampata. Ma ora, in appello, sia il Pg sia la parte civile chiedono che per l’omicidio di Stefano Cucchi paghino anche i secondini, non solo i medici che ebbero in cura il ragazzo. E questo perché il geometra romano fu pestato nelle celle del Tribunale, prima di comparire in aula per l’udienza di convalida. Un testimone, il gambiano Yaya, lo ha raccontato.
«Abbiamo sempre ritenuto ingiusto non attribuire l’omicidio preterintenzionale agli agenti della penitenziaria, a chi ha provocato quelle lesioni che hanno portato alla morte Stefano – spiega l’avvocato Alessandro Gamberini, parte civile per Giovanni Cucchi, padre di Stefano motivando, così, al processo per la morte del geometra romano, la richiesta di rinviare gli atti al pm per rivalutare la posizione degli agenti della penitenziaria assolti in primo grado per la vicenda della morte del ragazzo arrestato per droga nell’ottobre 2009 e morto una settimana dopo nel Reparto detenuti dell’ospedale “Pertini”.
Il legale di parte civile formalizza la richiesta spiegando, inoltre, di ritenere che l’accusa più appropriata sia quella di omicidio preterintenzionale.
«Quale sia la causa della morte, è evidente che il percorso parte da quell’avvenimento lesivo. Abbiamo un testimone, il detenuto gambiano Yaya, che ci descrive perfettamente quelle lesioni; il resto è aria fritta. Chi procura lesioni a un detenuto, si assume tutte le responsabilità del caso. E quelle lesioni hanno avuto un’incidenza nello sviluppo tragico di questa vicenda, il cui esito non era imprevedibile», ha detto Gamberini.
«Il caso Cucchi non è un caso misterioso – ha aggiunto l’avvocato Alessandra Pisa, parte civile per i nipoti minorenni di Stefano Cucchi – E’ un caso molto semplice; le carte ci dicono che Stefano ha subito un pestaggio nelle celle del Tribunale di Roma perché aveva scocciato gli agenti della polizia penitenziaria. Nessun mistero; lui non voleva entrare in quella cella. E il pestaggio è avvenuto prima dell’arrivo in aula per l’udienza di convalida del suo arresto. Proprio lì Stefano manifesta i segni del pestaggio recente: era gonfio, aveva segni sotto gli occhi, difficoltà a stare seduto per una frattura all’osso sacro. Gli agenti, hanno alzato le mani e usato i piedi, non interessa che non sapessero a cosa si andava incontro, cosa sarebbe loro accaduto. L’hanno fatto, e non c’è una ricostruzione alternativa a quella fornita dal teste Yaya che quei colpi li ha sentiti, che ha visto Stefano piangere dal dolore».
«Ma cosa ti hanno fatto? domanda Yaya al geometra. «Ma non lo vedi? Mi hanno menato questi stronzi», replica Stefano Cucchi. Poche parole che furono una conferma a ciò che Yaya aveva visto pochi minuti prima dallo spioncino di una delle celle di sicurezza della cittadella giudiziaria romana di Piazzale Clodio: agenti della penitenziaria in divisa che picchiavano a calci e pugni Stefano Cucchi.
La frase, riportata testualmente, e’ una delle confidenze che S.Y., il supertestimone, 31 anni originario del Gambia, detenuto per droga in una struttura di assistenza per tossicodipendenti, sostiene di aver avuto dal geometra romano il 16 ottobre scorso quando entrambi si trovavano nel Tribunale di Roma per la convalida dei loro fermi.
La richiesta delle parti civili è sostanzialmente simile a quella del Pg, Mario Remus il quale, in sede di giudizio d’appello, ha chiesto di ribaltare la sentenza e di condannare tutti gli imputati poiché, secondo l’accusa, Stefano subì un pestaggio e poi non fu curato dai medici che lo ebbero sotto controllo.
Sotto processo ci sono dodici persone, sei medici, tre infermieri e tre agenti della penitenziaria. In primo grado, solo i medici sono stati condannati per omicidio colposo (tranne una, condannata per falso). La prossima settimana, cominceranno gli interventi dei difensori degli imputati.

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