Finalmente la Variante di Valico. Ci sono voluti 30 anni. Senza la Legge Obiettivo sarebbe ancora una chimera
Appena 10 metri di scavo alla settimana per tre settimane, massimo quattro, e tra circa un mese, il 6 novembre, anche l’ultima galleria sarà terminata: è questo il passo decisivo per la costruzione della Variante di Valico, il tracciato parallelo all’Autostrada del Sole sull’Appennino tra Firenze e Bologna, i cui lavori saranno finiti l’anno prossimo. «Per la Variante di valico l’appuntamento è nel 2015», ha detto il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Maurizio Lupi, alle celebrazioni per i 50 anni dell’Autostrada del Sole a Firenze . La nuova autostrada si sviluppa accanto all’A/1 tra Emilia Romagna e Toscana per 59 km di autostrada potenziati (anche con terza corsia) dei quali 32 km sono in variante per un tracciato parallelo a quello aperto mezzo secolo fa, ma, diversamente dal precedente, con pendenze lievi, riduzione massima possibile delle curvature e un tragitto ricavato a quote più basse così da mitigare i capricci del meteo sul traffico autostradale. La variante avrà tre corsie.
Tutto è bene quel che finisce bene. Ma è doverso ricordare che il primo progetto risale al 1985. Quindi ci sono voluti 30 anni per realizzare questa struttura, che è fondamentale per collegare il Nord del Paese con il Centro ed il Sud. L’annosa vicenda della Variante di Valico è un po’ il simbolo dell’involuzione subìta dall’Italia dagli anni Settanta in poi, quando la spinta realizzativa dei decenni precedenti si esaurì inesorabilmente a causa delle mode regressive che si erano nel frattempo affermate nel Paese: ecologismo sfrenato, burocrazia paralizzante, potere di interdizione degli enti locali, insipienza della politica nazionale. E dire che il tratto autostradale Bologna-Firenze, 70 chilometri di viadotti e gallerie, era stato realizzato in soli 3 anni, dal 1958 al 1961. Ma eravamo in un’altra Italia, un’Italia ancora fiduciosa, ancora desiderosa di costruire in fretta il proprio futuro. Un Paese in pieno boom economico, ancora immune da quella cappa di oppressione, immobilismo e ostilità alla modernizzazione che, negli anni successivi, sarebbe calata sulla politica, sulla pubblica opinione, sulla società civile. I lavori non poterono partire alla metà degli anni Ottanta (come sarebbe stato necessario, perché la Bologna-Firenze non reggeva più al volume di traffico cresciuto impetuosamente in un ventennio), non potererono partire, dicevamo, perché nessuno si prese la responsabilità di rimuovere l’assurdo divieto di costruire nuove autostrade sancito da una legge del 1975 (alla vigilia della triste stagione del compromesso storico). Quanto fossero ormai diventati forti i poteri di ricatto di ecologisti e regressisti vari fu cosa che apparve drammaticamente evidente nel 1996, quando l’esecutivo guidato da Prodi tentò di sbloccare la situazione, ma fu costretto a una vergognosa ritirata a causa della furiosa reazione di Verdi e neocomunisti che allora facevano parte della maggioranza di governo. Il semaforo verde arrivò finalmente con la Legge Obiettivo emanata durante il governo Berlusconi nel dicembre del 2001. E vale la pena ricordare che contro quel provvedimento si abbatterono gli strali della sinistra italiana. Ma i lavori poterono finalmente partire, con buona pace del “popolo del no”. Quando, tra qualche mese, si stapperanno le bottiglie di spumante per l’inaugurazione, speriamo che qualcuno ricordi che la nuova infrastruttura è stata realizzata al ritmo di 2 chilometri all’anno.