La “manovra” non convince nessuno. E l’uomo dei conti vuole dimettersi

24 Ott 2014 14:18 - di Redazione

Il nome di Roberto Codogno dice poco al grande pubblico. Ma il suo ruolo è fondamentale per la credibilità dei conti italiani in Europa: attualmente, infatti, è il capo dell’analisi e della programmazione economico-finanziaria del ministero di via XX Settembre. Lontano dai clamori e dai bagliori della notorietà, Codogno vive  una “vita da mediano”. È lui che parla agli investitori internazionali per rassicurarli sulla tenuta della nostra economia e per convincerli ad acquistare i titoli del nostro debito pubblico.

Codogno trattenuto solo da Padoan

Questo almeno fino a ieri. Voci e boatos ministeriali danno infatti per molto probabili le dimissioni di Codogno, ritenuto ormai in contrasto con quelle scelte del governo che il ruolo istituzionale gli impone di difendere e valorizzare. Se davvero lasciasse l’incarico con queste motivazioni, per Renzi sarebbe una bruttissima gatta da pelare. Soprattutto d’immagine. Finora il dirigente è rimasto al suo posto solo perché trattenuto dal ministro Padoan, sempre più stretto a sua volta nella morsa costituita dal premier, da un lato, e dai tecnici dall’altro. Il fatto che il ragioniere generale dello Stato, Daniele Franco, abbia “bollinato”, cioè avallato, la legge di stabilità solo in un secondo momento è indice della forte tensione innescata dalla manovra economica. Tensione resa ancor più palpabile dalla lettera con cui Katainen, a nome della Commissione europea, ha dato a Palazzo Chigi 24 ore di tempo per chiarire come intende rispettare i vincoli che Renzi vorrebbe invece aggirare.

Ma il premier può contare sul Quirinale

Non è la prima volta che un governo italiano si trova ad ingaggiare un braccio di ferro con le istituzioni comunitarie. Nel 2011 fu la manovra di Berlusconi a finire del mirino di una lettera. E fu l’inizio di una fase che portò in autunno alle dimissioni del Cavaliere e all’avvento di Monti. Tra allora ed oggi c’è solo una differenza: la vicinanza del Quirinale al governo. E non è poco.

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