“Napul’è” (solo) la città che si sente seviziata assieme al suo figlio quattordicenne
Napul’è na carta sporca e nisciuno se ne importa, lo dimostra la vicenda del ragazzino seviziato, una vicenda che ha creato rabbia e dolore nell’opinione pubblica. E soprattutto indignazione per l’atteggiamento dei parenti di chi ha colpito, ha infilato il tubo, ha ridotto un quattordicenne in gravissime condizioni. Quei parenti non si sono vergognati, hanno minimizzato, «era solo un gioco». Neppure l’evidenza, neppure la disgrazia li ha indotti ad abbassare la testa, ad ammettere che – come ha scritto don Patriciello – siamo di fronte a una vicenda «abominevole e agghiacciante». Napul’ è mille culure, Napul’è mille paure, è questa la verità. Perché, a differenza dei parenti degli aggressori (incapaci di farsi un esame di coscienza) la città sa vergognarsi, sa chiedere perdono e soprattutto sa soffrire. E ora, proprio per quella vicenda, rischia di sprofondare agli occhi di tutti, di essere vittima di pregiudizi, di quei pregiudizi che l’hanno sempre spezzata a metà, impedendole di alzarsi e camminare da sola, senza essere additata, criminalizzata, messa all’indice. La generalizzazione ha prodotto il caos, l’ironia sprezzante, il razzismo. Napoli non è la città della camorra, ma è soprattutto la città di chi è vittima della camorra, di quei commercianti che hanno paura di chi chiede il pizzo e che si sentono indifesi. Napoli non è la città degli scippatori ma di chi è scippato, dei pensionati che devono fare i conti con i mariuoli, dei ragazzini che hanno paura di uscire da casa al ritorno da scuola per la presenza di baby gang che li picchiano per prendersi il telefonino. Napoli non è la città degli ultras affiliati alla malavita, ma di migliaia e migliaia di tifosi che vorrebbero andare allo stadio senza rischiare. Napoli non è la città di chi ha seviziato il quattordicenne, ma di chi si è sentito seviziato assieme al quattordicenne. È una città seviziata. E per una famiglia che non si vergogna della violenza dei propri figli, ce ne sono tantissime che restano in silenzio, chiuse nei propri problemi, ad affrontare i sacrifici quotidiani e che si vergognano al posto di altri. Si eviti, quindi, il fiume di analisi psicologiche e sociologiche inutili, del mare di parole che si sentono in questi giorni, chi parla di «crudeltà trasversale», chi di «problemi di inclusione», chi di «violenza strutturale». I fatti di cronaca accadono ovunque, solo nel capoluogo partenopeo si trasformano in una condanna per tutta la gente, senza distinzioni. Napule è nu sole amaro, Napule è addore è mare, questo non bisogna dimenticarlo. Ma il sole non è amaro per una coincidenza. E su questo c’è chi deve farsi un esame di coscienza. Insieme alla famiglia degli aggressori.