Praga vuole dimenticare il comunismo, ma cancella anche la memoria di Jan Palach
Ci sono il Museo della tortura, delle cere e dei fantasmi. Ci sono insegne, targhe, monumenti per ricordare scrittori, ribelli e intellettuali più o meno noti. Ci sono anche i segni del passaggio di Giacomo Casanova, a Praga. Una memoria, però, manca: quella di Jan Palach. A raccontarlo in un lungo reportage su Sette del Corriere della Sera è lo scrittore e critico letterario Diego Gabutti. Lonely Planet alla mano, Gabutti descrive una «città stregata» che, «da Kafka a Casanova, è fedele ai suoi fantasmi» e che, tra memorabilia e appuntamenti culturali, rinnova il ricordo di chiunque abbia fatto parte della sua storia. Ricordo che lo scrittore segue sugli itinerari e grazie ai suggerimenti della guida turistica, andando alla scoperta della targa per gli assassini di Reynard Heydrich, «il boia degli ebrei cecoslovacchi», del Museo di Kafka, dei concerti di Mozart nelle chiese e dell’omaggio a Milena Jesenskà, la destinataria delle Lettere a Milena di Kafka, ricompreso nel tour dei luoghi praghesi della Seconda guerra mondiale. Solo per il ragazzo simbolo della lotta per la libertà dall’Urss non sembra esserci spazio in questa città. «Praga, il Museo nazionale di Piazza Venceslao. Qui, nel gennaio del 1969, lo studente di filosofia Jan Palach si cosparse il corpo di benzina, poi si diede fuoco “con un accendino”, come i monaci buddisti in Vietnam, per protestare contro l’invasione sovietica del 1968, ed è sempre qui che vent’anni più tardi si diressero i cortei di massa che travolsero il comunismo», scrive Gabutti in apertura del reportage. «Oggi – aggiunge – qui c’è il centro commerciale più grande della città e di quel lungo incubo non sembra ricordarsi più nessuno. Fatico a procurarmi qualche testo sul comunismo in Cecoslovacchia nelle librerie della grande piazza. Non c’è più l’Armata rossa e non c’è più la Cecoslovacchia. È tutto passato», scrive ancora Gabutti, spiegando che «sotto la fontana, sul marciapiede del Museo battuto da una marea di turisti, praticamente inciampo in una croce sbalzata di metallo, che si fatica a vedere, pur cercandola». «È il monumento a Jan Palach. E questo – è la conclusione – più o meno è quanto resta dello spettro del comunismo». E, bisogna aggiungere, del ricordo dei suoi martiri.