Sos fiducia: il premier sfida la minoranza Pd. E ai Cocer promette lo sblocco degli stipendi

7 Ott 2014 14:13 - di Alessandra Danieli

«La Sala verde ha lavorato a pieno regime», ha detto Matteo Renzi alla stampa dopo gli incontri a Palazzo Chigi con sindacati, imprese e forze dell’ordine. Incontri interlocutori visto che i nodi principali restano sul tappeto («nulla di nuovo», ha commentato Susanna Camusso) e sul premier soffia il vento delle proteste per il voto di fiducia sul Jobs Act previsto mercoledì al Senato (mentre la discussione generale è stata rinviata alle prossime ore per assenza di numero legale) sul quale pesano molte incognite. Dopo il tavolo con Cgil, Cisl, Uil e Ugl incentrato sul pasticciaccio dell’articolo 18, è stato il turno della delegazione dei Cocer, sul piede di guerra per la riduzione degli stipendi e la ventilata riunificazione dei Corpi di Polizia. Sul fronte minato delle retribuzioni il premier ha assicurato che il governo vuole sbloccare il tetto salariale delle forze dell’ordine e dei militari dal 2015 “in maniera strutturale”. «Sarà contenuto nella legge di stabilità che verrà approvata dal Consiglio dei Ministri il prossimo 15 ottobre, il testo è già pronto», ha detto nelle stesse ore in cui il ministro Alfano si è impegnato ad anticipare lo sblocco a dicembre. Sulle mobilitazioni di piazza annunciate dai poliziotti Renzi ha tentato di ammorbidire i toni da muro contro muro. «Siamo rispettosi delle manifestazioni di protesta, desiderosi di continuare a lavorare», ha detto, «ma non accettiamo da nessuno, tantomeno da loro, che si metta in discussione la legalità. La minaccia di sciopero è contro la legge».
Ma la vera incognita di queste ore resta il voto di fiducia sul quale il presidente del Consiglio ostenta sicurezza: «Non temo gli agguati e se ci saranno li affronteremo – ha detto rivolgendosi alla minoranza interna del suo partito – Sul Jobs Act abbiamo fatto un lavoro molto serio, ci siamo parlati anche modificando la linea iniziale, ma a un certo punto si deve decidere e votare». Pierluigi Bersani è pronto a ingoiare il rospo in nome del senso di lealtà e di responsabilità anche se imbavagliare la discussione in Aula, dice, «resta una forzatura». Identica la scelta di Cesare Damiano, esponente della minoranza interna, che per l’occasione conia la formula “fiducia critica”. L’unico a non cambiare è Pippo Civati che può contare su sette senatori che potrebbero decidere di abbandonare l’Aula. Nella convulsione delle ultime ore Sel decide di ritirare gran parte degli emendamenti (ne manterremo 40-50) per togliere ogni alibi al governo deciso ad anticipare la chiusura della discussione per incassare la riforma prima del vertice europeo. Salvo colpi di scena, Forza Italia conferma il suo no dopo le parole di Berlusconi che ha detto chiaramente di non voler fare sconti a Renzi. E Matteo Salvini avverte: «Se Forza Italia votasse la fiducia il centrodestra non esisterebbe. Non è una fiducia ad un decreto ma al governo. Un solo voto da parte di Forza Italia sarebbe un problema nel dialogo con la Lega Nord».

 

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