Uniti per non morire. Alfano mette insieme i cocci di Ncd, Udc, Pi e Scelta civica. E lo chiama esercito
Tutti insieme appassionatamente. Il partito di Alfano, il quasi evaporato centro di Casini (niente di nuovo, Udc e Ncd già si erano presentati uniti alle europee con scarsi risultati), l’oggetto misterioso chiamato Pi, di cui gli italiani non conoscono neppure l’esistenza e – fiato alle trombe – Scelta civica, che è ridotta allo zero virgola. È questa la grande rivoluzione, quella che il buon Alfano tenta di far passare Come la riunione delle forze moderate e popolari. Dove siano le forze è un enigma, l’unica cosa che emerge è il tentativo estremo di non annegare. Ma gli alfaniani negano che sia la mossa della disperazione, anzi tentano di dire che è Forza Italia a essere defunta, che Berlusconi non vuole più vincere e che quindi si siano tutti arresi. Tranne loro, gli enneciddì, in trincea. L’unica novità è che cambiano nome e simbolo. L’addio di D’Alì non è stato digerito, Alfano ripete la storiella del fallimento dell’operazione Lessie sulla fuga dei parlamentari e dei dirigenti dal Nuovo Centrodestra. E tenta di ritornare alle vecchie liturgie, quelle di fare il deserto attorno: «La ricostruzione del centrodestra è un obiettivo di lungo periodo: c’è chi come Salvini e Meloni sceglie l’estrema destra e chi come Berlusconi sceglie di non vincere più. Ora tocca a noi, è una strada in salita ma è il momento di farlo». Come? Con gruppi unici e un nuovo partito, nel segno del Ppe: un’intergruppo tra Ndc, Udc e Pi. Ma per disintegrarlo basta la risposta data da D’Alì: «Angelino gode della massima stima, non è lui il problema, ma il progetto, ormai appannato e ambiguo. Cosa avrei raccontato ai miei elettori di centrodestra? Che alle regionali potremmo allearci talvolta con la sinistra o addirittura che alle politiche potremmo fare da stampella a Renzi? Io non sono mai stato capocordata di nulla. Certo, se il mio esempio può spronare altri, se si può produrre un effetto domino, non posso che esserne felice».