Addio a Mike Nichols, autore caustico e struggente, regista de “Il Laureato”
L’Hollywood Reporter lo ha annunciato. Il sito on line della Bbc lo ha confermato. L’emittente Abc News, la rete per cui lavora la moglie Danielle Sawyer lo ha rilanciato: Mike Nichols, intramontabile regista de Il Laureato, si è spento improvvisamente a 83 anni. Stile asciutto e corrosivo. Comicità caustica e incisività drammatica, la carriera di Nichols – costellata dalla conquista di Oscar, Grammy, Tony ed Emmy – ha rappresentato davvero la trasposizione hollywoodiana dell’autorialità bohemienne sinergicamente applicata al sistema produttivo delle major.
Una carriera poliedrica costellata da successi
Una versatilità, la sua, declinata nel corso di una serie di successi cinematografici a pellicole drammatiche come Silkwood (con Meryl Streep nelle vesti di un’operaia alle prese con una battaglia sindacale che diventa presto una lotta per la sopravvivenza all’interno di un impianto nucleare), come a titoli dall’ironia graffiante del calibro di Piume di struzzo, remake a stelle e strisce del Vizietto di Molinaro. O a film a metà strada tra dramma e commedia sentimentale come Una donna in carriera con Melany Griffith e Harrison Ford. Un regista, Nichols, audace nell’invecchiare per esigenze di copione una giovanissima e bellissima Elisabeth Taylor alle prese con il dramma che evoca – senza che nulla rimandi concretamente a lei – Virginia Wolf. Lungimirante nel rivelare e consacrare il genio istrionico di un esordiente Dustin Hoffman nei panni dell’acerbo amante preda di una smaliziata Anne Bancroft. Generoso nel rilanciare la carriera arrugginita di John Travolta grazie al ruolo dell’aspirante presidente intepretato ne I colori della vittoria.
Un cineasta libero da schemi ed etichette
Sempre in prima linea sul fronte della poliedricità, come dimostrato da film come l’antimilitarista Comma 22 (affidato alle sapienti interpretazioni di Orson Welles, Anthony Perkins e Martin Balsam) o come il paranormale Wolf, la belva è fuori con Jack Nicholson e Michelle Pfeiffer). E coerente con questa eclettica cifra stilistica fino ai suoi ultimi impegni dietro la macchina da presa: come dimostrato da Closer, titolo del 2004 su amori a prima vista e tradimenti dell’ultim’ora, o come La guerra di Charlie Wilson, complicato intreccio tra guerra, politica, industria delle armi e spionaggio, datato 2007. E comunque sempre convinto assertore, al di là di sterili schematizzationi ed etichette di comodo, dell’interdisciplinarietà dei linguaggi artistici. Non è un caso se una delle sue più celebri frasi recita: «Non ho mai capito le persone che dividono i drammi e le commedie. Ci sono più risate in Amleto che in molte commedie di Broadway»…