Giampaolo Rossi: Salvini non è la panacea per la destra, è bravo ma…

5 Nov 2014 12:19 - di Gloria Sabatini

Grande esposizione mediatica, una innegabile capacità di parlare alla pancia del Paese, scaltro nelle operazioni elettorali, Matteo Salvini è “sotto osservazione” come possibile traino di un centrodestra frammentato e in crisi di consensi. All’indomani dell’intervista a Libero nella quale il rampante leader leghista si candida alla conquista del centrodestra con la nascita di un nuovo movimento, l’intellighenzia di destra si interroga sul possibile astro nascente del dopo-Berlusconi. E si divide tra entusiasti e scettici. «Per ora ha lanciato un’opa su una fetta di elettorato ma senza un disegno a lungo termine né una progettualità complessiva». È il parere di Giampaolo Rossi, editorialista del Giornale, docente di comunicazione e nuovi linguaggi, un passato nel Fronte della Gioventù, oggi lucido analista della destra.

Il leader leghista può rappresentare il federatore di un nuovo centrodestra?

Direi proprio di no, credo che Salvini voglia fare una cosa diversa, in realtà non vuole ricostituire il centrodestra per come lo abbiamo conosciuto, ma egemonizzare un’area di destra radicale e fortemente euroscettica:  sa che oggi in Italia esiste una fetta del mercato politico assimilabile al 10 per cento euroscettica, che  subisce i pericoli della globalizzazione,  è ostile al modello uniculturale e nutre profonda disaffezione per l’ingerenza dello Stato nelle vite individuai e nella  libertà eonomica; una destra che definirei populista e liberale. Non ha velleità rifondative di un’area orfana di leadership, sa bene che la sua è una forza destinata a non essere mai destra di governo ma ago della bilancia delle future dinamiche. Un disegno marginale e molto scaltro.

In questo percorso non mancano resistenze all’interno della Lega che conserva ancora parole d’ordine di bossiana memoria…

In questa fase assistiamo a una disarticolazione della Lega con evidenti contraddizioni. Pensiamo al paradosso del corteo di Milano contro Mare Nostrum dove i militanti padani secessionisti sfilavano in piazza contro l’Italia insieme ai militanti di CasaPound che sono ipernazionalisti. Salvini ha lanciato un’opa su un’area politica in cerca di un baricentro, ne vuole prendere il controllo, ma non ha chiaro l’obiettivo finale.

Una politica di contrapposizione all’Ue non passa per il rafforzamento degli Stati nazionali?

Questa è un’altra contraddizione della Lega. L’alternativa all’Europa dei tecnocrati e dei banchieri non può essere l’Europa delle Regioni ma quella dei vecchi Stati nazionali. Anche la politica delle alleanze europee risente di questo impasse. La Lega è alleata con la destra francese lepenista che ha ancora una visione del pubblico e dello Stato,  penso all’economia, all’etica ai diritti individuali, molto lontana dallo storico elettorato leghista. Per coerenza mi sarei aspettato un’intesa con Farage più che con Marine Le Pen. Anche in Italia in questa fase di passaggio il leader leghista è costretto a lavorare su due piani nella necessità di cambiare codici e trasformare il suo tradizionale elettorato. Oggi coesistono due linguaggi, uno ancora veteroleghista e uno rinnovato dalla vecchie seduzioni padane.

Lo “sbarco al Sud” di Salvini  è una svolta autentica?

È prevalentemente un’operazione elettorale dettata dal bisogno di affrancare la Lega dall’immagine storica di un movimento anti-meridionalista, sentimento che nella base militante è ancora forte. È il tentativo di superare la retorica degli slogan “Bruciamo Napoli”, “Viva il Vesuvio“,  e non da un’idea chiara della questione meridionale. Ciò non toglie che in questo momento è lui l’anti-Renzi.

Salvini ago della bilancia e non traino di una nuova stagione anti-renziana?

Salvini al momento rappresenta la disarticolazione di una realtà politica e culturale ma non sarà la panacea per il centrodestra, chiamato a una lunga traversata nel deserto. Ad oggi un’intera parte di elettorato storico del centrodestra lui non lo raggiungerà mai e comunque Forza Italia da sola raccoglie un consenso maggiore di tutti gli altri partiti di centrodestra messi insieme. Io credo che non ci sia alternativa ad un nuovo progetto “fusionista” che riunisca in un percorso comune un centrodestra liberal-identitario e che raccolga le culture politiche che in questi anni si sono ritrovate sotto il progetto berlusconiano; ma sarà un percorso faticoso che ha bisogno di leadership unificanti (cosa che Salvini non può essere). In mancanza di questo assisteremo ancora alla frammentazione di soggetti politici divisi tra una destra su posizioni radicali e un’altra liberale di matrice forzista che dovrà mediare.

 

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