“Uber” spiava i giornalisti? Il “giallo” della crociata vetero-femminista…

18 Nov 2014 22:03 - di Redazione

Una battuta durante una cena privata. E la startup Uber, già accusata qualche giorno fa di misoginia e sessismo, secondo la regola sociale statunitense che si fa ma non si dice, finisce nuovamente nel mirino, stavolta con l’accusa di voler spiare le giornaliste nemiche. Una bolla di sapone, indubbiamente. Ma nella guerra milionaria da 30 milioni di dollari – tanto vale ad oggi l’azienda – che si sta conducendo in questo mesi sull’innovativo servizio di trasporto che sconvolge i piani di molti, qualsiasi cosa è buona per far saltare il tavolo.
Bisogna fare un passo indietro per capire cosa ha scatenato l’ennesimo attacco contro il business dei taxi “privati”. Un giornaletto online di San Francisco, il Pando Daily, parte qualche tempo fa a testa bassa contro il servizio di taxi alternativo sostenendo che alcuni tassisti di Uber abbiano molestato alcune donne salite in auto con allusioni e commenti sul loro abbigliamento. Negli Usa è una specie di peccato mortale. Ci sono presidenti che sono saltati per una cosa del genere. Figurarsi tirare una palata di fango contro una startup impegnata a combattere quotidianamente una feroce battaglia con la corporazione dei tassisti. Roba da stenderla per sempre. La cosa però sembra finire lì. Ma Sarah Lacy, rampante direttora del giornale online non sembra disposta a mollare l’osso, soprattutto ora che i riflettori si sono accesi su suo giornalino. E martella di nuovo. Accusando di sessismo e misoginia l’azienda Uber perché, nella sua politica di marketing spinto, ha consentito ad un suo ufficio periferico di Lione di stringere un accordo nientemeno che con l’agenzia di modelle Avions de Chasse il cui sito di ragazze in abiti succinti non lascia spazio all’immaginazione. L’idea alla base dell’accordo è semplice: un cliente che vuole un taxi Uber a Lione può scegliere che alla guida vi sia una modella dell’agenzia Avions de Chasse per una corsa che non può superare i 20 minuti.

Le accuse di voler reclutare modelle-tassiste

Nulla di sconvolgente se non nella testa di chi vuole vederci per forza qualcosa di malato. Ma tanto basta per armare nuovamente la penna di Sarah Lacy e farla partire in quarta verso la nuova crociata contro Uber.
Stavolta ha dalla sua tutto il vecchio armamentario vetero-femminista. I salotti dem traboccano di indignazione. La sinistra radical chic – siamo sempre là, purtroppo, come se il tempo (ma anche lo scivolone di Bill Clinton e il lavoretto di Monica Lewinsky) fosse passato invano – monta l’ennesima crociata. E la Lacy suggerisce alle donne di cancellare la App di Uber dai propri cellulari.
Manca il pezzo forte per dare la mazzata a Uber. Ci sono in gioco 30 milioni di dollari, mica bruscolini.  Ed eccoci a oggi. Durante una cena il manager Emil Michael, mica uno qualsiasi, ma il vicepresidente, nonché consigliere del Pentagono, esterna la sua frustrazione per gli attacchi gratuiti e ingenerosi contro Uber. E, convinto che sia una cena privata, fra amici, fa una battuta, immaginando potesse spiare la giornalista Sarah Lacy che lo attacca, grazie alla App sul telefono. Solo che Emil Michael non può immaginare che in quella cena c’è qualcuno pronto ad accoltellarlo alle spalle. Che riferisce tutto ai giornalisti. E, soprattutto, alle giornaliste. Apriti cielo, la misura è colma. Soprattutto negli Usa dove una cosa del genere, unita alle accuse di dessimo, può veramente bruciare una startup come Uber.
Crocifisso e infilzato dalla Lacy e dalle altre virago, Emil Michael è costretto a cospargersi il capo di cenere: «Le affermazioni che mi sono state attribuite nascono dalla frustrazione sulla copertura media sensazionalistica della società per cui sono orgoglioso di lavorare, non riflettono – afferma Michael – nè i miei punti di vista e non hanno nessun rapporto con la visione e l’approccio della società. Erano sbagliate». «Non indagheremo sui giornalisti. Le affermazioni non hanno alcun fondamento, rispetto al nostro approccio», rincara la dose Uber. Il sogno americano è anche questo: ora Sarah Lacy si è guadagnata il suo posto al sole. Interviste, comparsate, inviti a destra e a manca. Diventerà famosa ben oltre i confini del suo Pando Daily. Guadagnerà un mucchio di soldi e altrettanta notorietà. Fino a quando qualcun altro non deciderà di salire sulle sue spalle per farsi notare. E forse Sarah Lacy si ricorderà di quando l’ha fatto lei con Uber.

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