La Corte dei Conti “boccia” 40 anni di leggi sul fisco. Evasione ancora alta

2 Dic 2014 13:49 - di Niccolo Silvestri

 

La Corte dei Conti fa il punto sullo stato del fisco e non manca di evidenziare – nell’ultimo rapporto sulla tax compliance – tre rilevanti novità.

1 – Sugli oltre 200 miliardi di maggiori entrate attese per il periodo 2006-2011, «la quota intestata a misure di contrasto all’evasione è pari al 35,5 per cento». Una percentuale di assoluto rispetto, che in qualche modo fa anche giustizia di una rappresentazione del tutto caricaturale e tuttora in auge che vuole i governi del centrodestra molto tiepidi se non addirittura conniventi con evasori, elusoti ed erosori fiscali.

2 – La normativa fiscale degli ultimi quarant’anni è ”spesso contraddittoria e mal coordinata, adottata sulla spinta di emergenze contingenti e quasi mai inquadrata in una strategia di lungo periodo di contrasto all’evasione fiscale”. La Corte scende impietosamente nei dettagli del labirinto di provvedimenti, leggine, e circolari varie che hanno reso il sistema fiscale italiano una jungla inestricabile. «Basti pensare – si legge nel rapporto – alla bolla di accompagnamento dei beni viaggianti, alla ricevuta fiscale, agli apparecchi misuratori fiscali, alle ripetute modifiche al sistema penale tributario, al regime forfettario per la determinazione di costi e spese per imprese minime e minori, ai coefficienti presuntivi, ai parametri e agli studi di settore» e chi più ne ha, più ne metta. Tutto ciò, per la Corte è il frutto di «storiche divisioni» sul tema del contrasto all’evasione.

3 – Esiste, riguardo all’Irpef, una grave sperequazione tra lavoro dipendente, di pensione e quello autonomo. «L’Irpef dichiarata per il 2011 – scrive la Corte – deriva per l’81,4 per cento da contribuenti il cui reddito prevalente è di lavoro dipendente o di pensione». Per i magistrati contabili, dunque, «l’evasione fiscale continua ad essere un problema di straordinaria gravità» oltre ad essere fattore di «difficoltà del sistema produttivo, dell’elevato costo del lavoro, dello squilibrio dei conti pubblici, del malessere sociale esistente». In più, il fenomeno – sempre in riferimento all’Irpef – risulta aggravato da ulteriori elementi soggettivi ed oggettivi (tipologia della contribuzione, progressività delle aliquote, modalità delle transazioni) che al danno finiscono per aggiungere in molti casi persino la beffa dal momento che – spiega la Corte – «l’evasore riesce spesso a collocarsi in posizione reddituale utile per conseguire, in aggiunta ai frutti diretti dell’evasione, anche i benefici dello stato sociale».

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