Chi sono i miliziani italiani convertiti al “verbo” dell’Isis

19 Dic 2014 14:42 - di Martino Della Costa

Jihad, “guerra santa”. E senza confini. I nuovi adepti, di diversa provenienza europea, li chiamano foreign fighters. Sono cani sciolti. «Lupi solitari». Una quarantina in totale. Sono i miliziani italiani convertiti alla causa jihadista, devoti al verbo guerrafondaio dell’Isis, nuovi adepti del culto islamico e della sua degenerazione sanguinaria. Sono circa una quarantina gli jihadisti italiani monitorato dalla nostra intelligence a cui la Repubblica dedica un ampio servizio, circostanziato nei dettagli e negli spostamenti. Corredato di nomi, riferimenti e particolari che compongono e animano la mappa di una geofollia sempre più virale e contagiosa.

Il loro profilo

Si chiamano Filippo, Fabio, Sergio e quant’altro. Hanno in media tra i 20 e i 45 anni. Provengono dalle nostre città, dai piccoli centri del nord come del Mezzogiorno. «Un rapporto riservato della nostra intelligence – scrive il quotidiano di De Benedetti – li divide tra “italiani” e “naturalizzati”, figli di immigrati di seconda generazione. Per l’anagrafe sono tutti italiani». E tutti italiani accomunati dall’odio per l’Occidente «colonizzatore» cavalcato dai proseliti di Abu Bakr al-Baghdadi, partiti tra il 2013 e il 2014, da Milano, Bologna, Comiso, Torino, Roma, Napoli, Modena, Mantova, Cantù, Venezia e Biella, alla volta della Turchia – definito dal Viminale «il buco nero» – per poi approdare all’interno dei confini siriani e iracheni, pronti a mimetizzarsi nelle varie cellule jihadiste dell’Isis attive in Siria e in Iraq. Non a caso, già la scorsa estate il ministro dell’Interno Alfano aveva paralto di un «plotone di combattenti dello Stato Islamico partiti dal nostro Paese». Insospettabili vicini della porta accanto, catechizzati dalla Rete e nelle moschee disseminate sul territorio nazionale. Cresciuti nel culto dell’ostilità. Ansiosi di venire reclutati – dopo aver preso contatti direttamente con i vari gruppi di ribelli anti Assad – e di concludere al fronte il percorso di radicalizzazione cominciato online. Proseguito nei campi di addestramento e culminato nella «dawa», la chiamata della Johad che tutti loro sono disposti ad attendere anche lunghi mesi. Una chiamata al sacrificio che in molti casi è stato anche estremo.

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