Non sono d’accordo con il “No euro”: dobbiamo fare un salto di qualità

10 Dic 2014 20:02 - di Massimo Corsaro

Il  14 dicembre si terrà a Roma una manifestazione indetta da Fratelli d’Italia, il partito che ho fortemente contribuito a far nascere e di cui sono rappresentante alla Camera dei deputati. Il principale slogan che caratterizzerà l’evento sarà il “No euro” di conio lepenista,  riproduzione salviniana, e ora tentativo di riemissione tardiva in salsa identitaria, proprio del mio partito. Chi mi conosce sa che non mi sono mai riconosciuto in quel programma, tuttavia – conscio della mia responsabilità quale unico membro del partito nella Commissione Bilancio e, in genere, nelle partite economiche – ho sin qui evitato di esprimere palesemente il mio disappunto. In particolare, ho trattenuto ogni pronunciamento in materia per tutto il periodo elettorale, dal momento che la gran parte dei miei colleghi decise di caratterizzare in quel modo il nostro messaggio nel corso della campagna per il rinnovo del Parlamento europeo.

Un errore da evitare

Infatti, dopo che Alemanno in particolare si impegnò a sostenere la richiesta di uscita dall’euro nella fase di lavoro dell’Officina per l’Italia, il partito assunse quella linea nei documenti e nelle dichiarazioni successive. Ora tuttavia, lontano da appuntamenti con le urne, credo sia giunto il momento di esprimere chiaramente il mio pensiero spiegando perché – a mio avviso – quello che ho giudicato un errore di Fratelli d’Italia rischia ora di divenire la pietra tombale su ogni nostra futura credibilità. La mia forte contrarietà poggia su valutazioni di ordine economico, ma anche e soprattutto di natura politica. Sotto il profilo economico, senza riprodurre confronti  già ampiamente discussi e comunque bisognosi di altre sedi per essere sviscerati, voglio solo ribadire poche riflessioni contro l’ipotesi di tornare ad una moneta svalutata. Anzitutto la nostra economia ancora in grado di competere in campo internazionale è solo quella contraddistinta da alto valore aggiunto sotto il profilo della tecnologia e dell’innovazione, oltre che dall’eccellenza della qualità. Si tratta cioè di aziende che vendono in quanto il loro prodotto è apprezzato, non perché possono garantire all’acquirente un vantaggio di cambio. Per contro, essendo l’Italia del tutto priva di materie prime, si troverebbe a pagare un costo più elevato per ogni tipo di importazione, a cominciare da energia e petrolio che si riflettono su ogni ambito della vita quotidiana di imprese e famiglie.

Il vincolo del debito pubblico

Inoltre, l’uscita dell’Italia dall’euro renderebbe ancor più elevata la dimensione del nostro debito pubblico, emesso in euro e detenuto in larga parte da investitori internazionali che pretenderebbero (giustamente) di continuare ad essere rimborsati nella divisa comunitaria. Per non parlare dell’incentivo all’esodo di capitali che sarebbe determinato da una perdita di competitività del sistema finanziario nazionale. Senza dilungarmi oltre, chiunque conosca le dinamiche imprenditoriali e le ricadute che elementi depressivi avrebbero ancora sul mercato del lavoro, sa che l’uscita solitaria dall’euro altro non è che una inapplicabile frottola mediatica. Tanti sono i modi per combattere quest’Europa dei banchieri e dei massoni, per cambiare le regole ed i modelli di rappresentanza, per discutere ruolo e funzioni della Commissione, del Parlamento e della Banca Centrale, per pretendere una gestione comune nel controllo dei confini e per garantire la sicurezza. Certo non si scalfisce la supponenza degli eurocrati con risibili strilli contro la moneta comune. Tuttavia, è la considerazione politica quella che qui maggiormente mi preme approfondire. Come ci e mi è capitato più volte di argomentare, il futuro della destra che non voglia relegarsi ad un isolazionismo di testimonianza – restando peraltro incapace di affrontare competizioni elettorali con le regole che si stanno profilando – ha di fronte a sé due strade:

– nel breve periodo, prendere la scorciatoia populistica, peraltro con colpevole ritardo rispetto alla linea già affermata da Salvini, ed entrare da parente povero nella scia del nuovo leghismo, fingendo di sottovalutare le differenze culturali, identitarie e politiche che ci dovrebbero rendere al più alleabili in condizioni di forza, mai succubi portatori d’acqua nelle regioni ove la Padania è sconosciuta. È la strada che oggi appare più comoda e delineata, lo riconosco, ma per motivi che trovo fin troppo ovvii per essere ribaditi, non è e non potrà mai essere la mia. Soprattutto, per tornare al caso nostro, non mi risulta che sia la linea assunta formalmente da Fratelli d’Italia;

– la seconda strada, più difficile giacché ancora non se ne delineano contorni e protagonisti, è lavorare perché nell’ambito dell’area alternativa alla sinistra rinasca un’opzione credibile per gli italiani delusi dall’esperienza del Pdl e disgustati dalle vicende che ne hanno contraddistinto il crepuscolo dei principali protagonisti (appartamenti a Montecarlo o con vista Colosseo, affari sporchi con il Mose, cene eleganti, la “mafia romana” e quant’altro di tristemente noto). E noi questo percorso potremmo avviarlo o costruendo qualcosa di nuovo insieme ad altri che vogliano mondarsi da altre esperienze prive di futuro, o – come mi è capitato di scrivere pochi giorni fa con la rappresentazione di un “sogno” – rimettendo in piedi una casa veramente comune della destra, con un responsabile passo indietro degli elementi che – facendo prevalere il loro portato di livori e contrapposizioni personali – hanno sin qui impedito che altri e nuovi soggetti potessero riprendere la strada là dove si interruppe.

Una linea su cui convergere

Questa seconda linea (in ciascuna delle forme possibili prospettate)  è – a livello personale – quella su cui voglio impegnarmi, oltre ad essere quella verso la quale a mio avviso naturalmente dovremmo tutti convergere. Ma se l’obiettivo è quello  di ricostruire qualcosa di credibile, è ovvio che dovremmo lasciar perdere populismi, demagogie e scorciatoie irrealizzabili cui – non a caso – la stessa Alleanza Nazionale mai concesse spazio. Che senso ha allora, continuare a lanciare la parola d’ordine dell’uscita dall’euro che – se la strada fosse quella indicata – dovrebbe essere tempestivamente abbandonata con una retromarcia che ci renderebbe poco affidabili sin dal principio? Perché auto-relegarsi ad un ruolo di estrema marginalità, ove pure saremmo al traino di altri? È un errore strategico, figlio del ritardo nelle scelte di posizionamento e del tentativo di vivere alla giornata, cogliendo ciò che al momento può sembrare più popolare. Se lo può permettere Salvini, che ha deciso di riportare la Lega su una dimensione che la renda indispensabile, ma ben sapendo che non potrà mai da sola rappresentare un’alternativa alla sinistra in grado di contendergli il governo della Nazione. Oggi, per noi, non c’è più la scusa (che a mio avviso, comunque, non è mai sufficiente) di cercare di prendere in fretta e furia una manciata di voti in più; circostanza che, ahimè, nemmeno si è verificata. Ora è il momento di far capire se siamo pronti a investirci in un progetto che rappresenti in modo serio gli interessi nazionali, rinunciando alla presunzione di poter bastare a noi stessi.

Serve un salto di qualità

Ad esempio la vicenda romana, col suo strascico di coinvolgimenti che attingono – a torto o a ragione – nella nostra storia, ci impone ancor più urgentemente un salto di qualità. Facilmente questo ulteriore scandalo rafforzerà quanti contrastano l’idea di introdurre le preferenze nella nuova legge elettorale, sconfiggendo anche l’ultimo dei mantra su cui si è concentrata la nostra comunicazione. Mi chiedo se anziché piangersi addosso non sia il caso di rispolverare una proposta di legge, da me depositata diversi mesi fa con l’aggiunta di firme di colleghi di diversi gruppi (salvo – curiosamente – il mio, ma su quella titubanza preferisco non soffermarmi), in cui proponevo che se saranno i partiti a scegliere gli eletti, ad essi si deve applicare lo stesso principio della responsabilità oggettiva oggi presente per le società di calcio. Se hai scelto un ladro e l’hai portato in parlamento, lui pagherà con la galera ma tu – partito – devi risarcire la pubblica amministrazione, pena la non accettazione delle tue liste in successive votazioni. Sarebbe un bel modo per affrontare di petto un tema di attualità e per tornare a ribadire che, a destra, non si fanno sconti a nessuno sui temi dell’etica e della moralità.

Dopo le teste di maiale di Fiorito e soci, fatico a credere che ci si voglia invece coprire sotto il bianco piumone del Salvini desnudo.

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