Pignatone: il “mondo di mezzo” non ha collegamenti con la mafia classica
Più che un’associazione mafiosa, metodi mafiosi: dalla «capacità di ricorrere alla violenza per il raggiungimento di fini leciti e illeciti» alla «soggezione verso l’interlocutore» fino alla «trasversalità interna». E’ questo il quadro che traccia di fronte alla Commissione Parlamentare Antimafia, il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone per spiegare ai parlamentari come la Procura della Capitale inquadra l’organizzazione e i metodi della mafia Capitale, di quel mondo di mezzo emerso in questi giorni.
Ma la spiegazione di Pignatone, secondo il quale l’organizzaziome di Massimo Carminati e Salvatore Buzzi «non ha una struttura rigida» rischia di essere un po’ il tallone d’Achille dell’inchiesta perché la Cassazione ha, più volte nel passato, di fronte alla disinvoltura di certi pm, ribadito le “regole” per poter dimostrare l’esistenza di un’associazione a delinquere di stampo mafioso. E non sono “regole”propriamente flessibili.
«Roma troppo grande per un’unica organizzazione mafiosa»
Secondo Pignatone, che ne approfitta davanti ai parlamentari per annunciare nuove operazioni – «a questa grande operazione, altre ne seguiranno a breve» – il capo dell’organizzazione, nella visione della Procura, è Carminati. E hanno un ruolo direttivo, dal punto di vista «militare» Riccardo Brugia, sulla pubblica amministrazione, Salvatore Buzzi.
«Basti pensare – spiega Pignatone – ai trascorsi politici: Carminati all’estrema destra, Buzzi all’estremità opposta. Lo stesso Buzzi, ad un amico che gli chiede come fa a stare con Carminati, risponde: «la politica è una cosa, gli affari sono altro».
Il concetto che Pignatone vuole far passare è che, appunto, sbaglia chi guarda a quest’inchiesta come alle classiche inchieste di mafia. L’indagine, che è durata due anni, rivela Pignatone, avrebbe accertato che «non c’è un collegamento con la mafia classica: rispecchia in qualche modo la società romana», è una mafia «originaria e originale. A Roma ci sono una serie di investimenti mafiosi, ci sono alcune associazioni di tipo mafioso presenti nel territorio» come Cosa Nostra a Ostia o il clan dei Fasciani già sgominati, «ma oggi – specifica il procuratore capo della Capitale – abbiamo fatto un passo avanti».
«La mafia non è l’unico problema di Roma e non è detto sia il principale – ci tiene a sottolineare Pignatone – Non c’è un’unica associazione mafiosa che controlla Roma, nonostante quello che può essere sembrato dalla stampa. Non siamo come a Palermo, Napoli o Reggio Calabria: Roma è troppo grande per essere controllata da un’unica organizzazione».
Mancano, invece, ancora all’appello, le armi che per un’organizzazione criminale e mafiosa sono fondamentali: «Nelle intercettazioni telefoniche si parla di acquisto di armi e di un piccolo arsenale in possesso a Brugia, che ha una villa a Sacrofano – racconta ignatone – Al momento, è stato ritrovato il vano ma non le armi. Siamo convinti di avere le prove della disponibilità di armi ma non le abbiamo trovate».
Nessuno spunto, invece, dalle intercettazioni, sulla raccolta di voti. «Non ci sono spunti tali da contestare il 416 ter, ovvero il voto di scambio», ammette il procuratore capo, né ci sono «riferimenti significativi al settore del gioco». Quanto al coinvolgimento di Belen Rodriguez e di Daniele De Rossi che sono in contatto con Giovanni De Carlo, «sono palesemente irrilevanti, non riguardano la Procura nè l’Antimafia». Ma il gossip, sembra di capire.
Nega, viceversa, Pignatone, che esitano prove di contatti fra Massimo Carminati e i Servizi segreti italiani: «non abbiamo prove – ammette il procuratore – di contatti di Carminati con i Servizi. C’è una lunga conversazione tra Carminati ed un altro personaggio in cui Carminati dice di essere andato in Libano, mandato da qualcuno dei Servizi, a fare attività varie. Abbiamo questa traccia ma è insignificante. C’è poi la convinzione diffusa degli interlocutori di Carminati che lui mantenga questi contatti».
Prosegue, intanto, l’analisi degli appalti vinti dalla cooperativa 29 giugno e dalle sue associate. Pignatone rivela che il Comune di Roma ha sospeso una gara per 25 milioni riguardante l’Ater «perchè si profilava un’affidamento alle società di Buzzi».
Riflettori sulla partecipata del Comune, Roma Multiservizi Spa
Ieri è scattato il sequestro di altre due coop riconducibili a Salvatore Buzzi: la «29 giugno Servizi» e la «Formula Sociale», entrambe amministrate da persone ora indagate nell’inchiesta Mafia Capitale. Peraltro la rete di relazioni scandagliata dagli investigatori ha fatto emergere che Salvatore Ruggiero, uno dei due arrestati come referenti delle cosche calabresi nei rapporti con Salvatore Buzzi, è «dal 2009 inserito nella società Roma Multiservizi spa, presieduta sino all’ottobre 2013 da Panzironi Franco», scrive il Gip, e partecipata del Comune di Roma.
Panzironi, arrestato per associazione mafiosa, corruzione e turbativa d’asta nell’inchiesta su Mafia Capitale, è considerato tra gli uomini di fiducia del presunto capo banda Massimo Carminati. Ruggiero, legato secondo gli investigatori alla cosca dei Mancuso, ha lavorato anche come dipendente per la “cooperativa 29 Giugno” di Buzzi dal 1998 al 1999, secondo l’ordinanza del gip.
Nel frattempo entra in gioco un’altra Procura, quella di Arezzo, perché qui è stato presentato un esposto per far chiarezza sull’attività della Domus Caritatis, la cooperativa romana vincitrice dell’appalto per la gestione degli immigrati a Badia Prataglia nel comune di Poppi, in provincia di Arezzo. A presentarlo i consiglieri comunali della lista civica Poppi Libera che in questi mesi hanno portato avanti la protesta contro il possibile arrivo, poi scongiurato, di cento immigrati a Badia Prataglia.
Nell’esposto viene ricostruito l’intero percorso che ha portato alla seconda procedura di gara per l’assegnazione della gestione dei migranti (la prima risaliva al giugno 2014 ed era stata vinta da un’altra cooperativa), svoltasi nel settembre scorso nella quale era risultata vincitrice la Domus Caritatis che aveva poi avviato i contatti con il titolare della struttura alberghiera di Badia Prataglia per ospitare i profughi. I latori dell’esposto, nelle due pagine presentate in Procura, partono dal coinvolgimento che sarebbe emerso dalle intercettazioni telefoniche, della cooperativa nell’inchiesta romana “Mafia Capitale” e chiedono dunque alla Procura di Arezzo di accertare e valutare se, nei fatti riguardanti Badia Prataglia, siano ravvisabili fatti penalmente rilevanti e nel caso affermativo chiedono che si proceda contro i responsabili.