Adozioni, è guerra fra le associazioni e la pupilla di Renzi, l’ex-pm Della Monica
Oramai è guerra aperta, senza troppi complimenti. Da una parte alcune associazioni italiane accreditate per “accompagnare” nelle complesse procedure di adozione internazionale i futuri genitori aiutandoli a districarsi in un vero e proprio percorso a ostacoli, dall’altro la Cai, la Commissione adozioni internazionali, l’ente governativo italiano guidato dall’ex-pm Silvia Della Monica, che dovrebbe garantire che le adozioni di bambini stranieri avvengano nel rispetto dei principi stabiliti dalla Convenzione de L’Aja del 29 maggio 1993 sulla tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale.
Un dialogo tra sordi. Che sta provocando gravi ripercussioni sulle famiglie adottanti. Volano accuse reciproche fra i due mondi. L’ultima è di poche ore fa. La Bielorussia, sostiene l’associazione Aibi, Amici dei Bambini, uno fra i 62 enti accreditati per le adozioni internazionali, si appresterebbe a chiudere, ancora una volta, le adozioni alle coppie italiane, a causa della mancanza di un documento che la Commissione adozioni internazionali, la Cai, appunto, avrebbe dovuto produrre entro il 13 settembre 2014 ma, poi, non ha mai prodotto.
Un’eventualità che rischia di mandare a monte tutto il lavoro diplomatico tessuto con grande delicatezza e in un clima di enormi difficoltà fino ad ora. Basti pensare che, ad oggi, l’Italia è l’unico Paese al mondo al quale la Bielorussia consente di adottare i propri bambini. A fronte di alcune garanzie. Fra le quali, appunto, quel documento che non è stato consegnato dalla Cai e che contiene informazioni dettagliate relative alle condizioni di vita e di educazione degli adottati.
L’altolà di Minsk: l’Italia non ci da informazioni, ora stop
L’Aibi formalizza la sua denuncia sul suo sito web mettendo all’indice l’ente che dipende dalla Presidenza del Consiglio. E mostrando una lettera dai toni abbastanza perentori con la quale il Centro Adozioni del Ministero dell’istruzione bielorusso comunica agli enti italiani autorizzati per le adozioni internazionali che la Cai pur essendosi impegnata con la Bielorussia, in base al Regolamento sulla collaborazione tra lo stesso ministero e la Commissione italiana, a presentare il «documento di garanzia sulle informazioni obbligatorie delle condizioni di vita e dell’educazione dei bambini presso le famiglie dei cittadini italiani», in realtà non ha più consegnato il documento obbligatorio dal settembre 2014.
Questo documento, precisa nella lettera la direttrice del Centro Adozioni del Ministero dell’istruzione bielorusso, Natalia Pospelova, deve essere «confermato» dalla Cai almeno una volta l’anno e il 13 settembre scorso è scaduta la validità dell’ultimo documento di garanzia presentato.
Il Centro adozioni bielorusso rivela alle associazioni di aver «più volte comunicato alla Cai la necessità del rinnovo del documento», documento che, però, «sino ad oggi» (cioè mercoledì 14 gennaio ndr) non era ancora pervenuto. La mancanza di questo documento, sottolinea la Pospelova, «è un ostacolo insuperabile per la futura collaborazione» tra autorità bielorusse e italiane per le adozioni. Per questo Natalia Pospelova chiede alle associazioni alle quali ha inviato la lettera di scusarsi con tutte le famiglie – 150 i casi italiani di adozioni pendenti attualmente in Bielorussi – che hanno in corso le pratiche di adozione e che dovessero subire contraccolpi da questo stop.
I rapporti tra i due Paesi si erano interrotti, per quanto riguarda il capitolo adozioni, nel 2006 dopo un incidente diplomatico fra i due Paesi, proprio a causa di un’adozione e sono ripresi solo nel febbraio 2014. Quella volta a causare la crisi delle relazioni e il conseguente stop alle adozioni di bimbi bielorussi dall’Italia fu il comportamento di una coppia genovese che, per 20 giorni, “nascose” una bambina bielorussa che era stata affidata loro per il periodo estivo, nell’ambito di un progetto dedicato ai cosiddetti “figli di Chernobyl“, i bimbi accolti in Italia per la disintossicazione dalla contaminazione nucleare.
In quel caso la Bielorussia decise l’immediato blocco dei soggiorni terapeutici e ci fu, di conseguenza, un sostanziale stop nelle adozioni: da Minsk decisero di portare a termine le pratiche già avviato tanto che i bambini adottati da italiani in Bielorussia furono 34 nel 2006, 12 nel 2007, 4 nel 2008. Nel frattempo, tuttavia, il lavoro diplomatico proseguiva fitto. E, nel 2009, la Bielorussia decise di ridare credito e fiducia all’Italia dicendosi pronta a riaprire il dossier. Di fatto nel 2010 furono riavviate le procedure e le famiglie italiane poterono adottare, solo in quell’anno, 350 minori bielorussi. Ora il nuovo stop. Che ha causato una marea di polemiche.
Interpellanze a pioggia sull’ex-senatrice Pd Silvia Della Monica
La Commissione adozioni internazionali e i suoi vertici sono da mesi al centro di una pioggia di interrogazioni parlamentari. Che chiamano in causa lo stesso Renzi. E le deleghe che ha distribuito nella Commissione. Il dito viene puntato contro l’anomalia nella gestione della Commissione che vede i ruoli di presidente e di vicepresidente – quindi di controllore e di controllato – riuniti nella stessa persona, Silvia Della Monica. La quale gestirebbe in sostanziale autonomia un organo che dovrebbe invece essere collegiale. Non solo. Un mese e mezzo fa, agli inizi di dicembre, è esploso con gran fragore il caso del presunto coinvolgimento in attività illecite (turbativa d’asta, abuso d’ufficio, falso in atto pubblico e truffa) di Patrizia Cologgi, coordinatrice di servizio della Segreteria tecnica della Commissione Adozioni Internazionali, indagata nell’inchiesta Mafia Capitale nel suo ruolo di ex-dirigente della Protezione Civile.
Ma il vero nodo è la figura dell’ex-senatrice PD Silvia Della Monica, presidente e vicepresidente della Commissione Adozioni Internazionali, nominata nella primavera del 2014 da Renzi. Su di lei sono piovute interpellanze e interrogazioni a non finire. Carlo Giovanardi ne ha fatto un problema di competenze nella sua interpellanza che l’ha fatta a fette e dove argomenta su «titoli, attribuzioni e specifiche competenze maturate nel settore della giustizia minorile e nel settore delle adozioni» dall’ex-magistrato napoletano Silvia Della Monica ben più nota per aver guidato la S.A.M., la Squadra Antimostro che ha investigato sul mostro di Firenze. C’è chi ricorda, invece, che la sua carriera in toga ha incrociato il destino del giovane Matteo Renzi quando lei era pretore a Pontassieve.