Facebook non è un social libero. Polemiche per le pagine oscurate
Facebook censura le immagini di Maometto in Turchia e sul suo ‘guru’ Mark Zuckerberg è bufera. Anche perché il caso turco è l’ultimo di una serie di episodi in cui il più diffuso social media al mondo oscura pagine ‘scomode’ ai vari regimi: da quelle degli oppositori di Putin in Russia a quelle dei dissidenti tibetani in Cina. Il Washington Post non esita a definire il giovane miliardario fondatore di Facebook “un ipocrita”, mentre altri parlano di “vuota retorica” di Zuckerberg, solo a parole al fianco di chi difende il diritto di tutti ad esprimere le proprie opinioni.
Accettata la censura voluta dalla Turchia
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la decisione dei responsabili del social media (che conta oltre un miliardo di utenti) di adeguarsi all’ordine emanato da una corte di Ankara, accettando nelle ultime ore di bloccare d’ora in poi tutte le pagine che mostrano le immagini del profeta, ritenute offensive per il mondo islamico. Pena la sua rimozione dalla rete in Turchia, come accaduto in passato per Twitter e YouTube. Un episodio che imbarazza palesemente Facebook, che infatti finora non ha voluto ancora commentare, nonostante la pioggia di critiche e di accuse. Solo pochi giorni fa Zuckerberg, sull’onda dello sdegno per l’assassinio dei vignettisti francesi, aveva detto: “Facebook ha sempre seguito le leggi dei Paesi in cui è presente, ma mai lasceremo che un Paese o un gruppo di persone ci ordini cosa la gente intorno al mondo vuole condividere”. “Sono personalmente impegnato a costruire un servizio dove si possa parlare senza paura o violenza”, aveva aggiunto, chiudendo il suo ragionamento con l’hashtag #JeSuisCharlie.
Cancellata la pagina di Navalny
Così, solo meno di un mese fa Facebook ha ‘cancellato’ la pagina di Alexei Navalny, l’avvocato in prima linea nella lotta per i diritti civili in Russia. Oscurato come molti altri oppositori del leader del Cremlino Vladimir Putin. E non si contano le azioni di censura a danno dei dissidenti in Cina (potenziale mercato da 648 milioni di utenti), con l’associazione International Campaign for Tibet che ha lanciato una petizione contro l’ostracismo del social media verso le istanze dei tibetani. Per non parlare – come accaduto anche a Google – della richiesta di Pechino di non rendere disponibili informazioni sulla strage di piazza Tienanmen del 1989. In tanti, poi, ricordano anche le pagine bloccate da Facebook perché ostili al regime siriano. Oppure la recente polemica sulla censura di pitture, opere d’arte o scatti fotografici che immortalano donne che allattano al seno i propri figli.