La gaffe della Marina Militare: recluta italiani ma gli parla in americano

27 Gen 2015 14:10 - di Roberto Frulli

«L’uso sfrenato dell’idioma inglese e la motivazione estremamente “leggera” per spingere a intraprendere una delle carriere più belle, impegnative e piene di responsabilità che ci siano non ci sembrano affatto adeguati». E’ fortemente critico il deputato di Forza ItaliaBasilio Catanoso sulla nuova campagna di arruolamento della Marina MilitareBe cool. Join the Navy” pensata, volutamente, per coinvolgere i ragazzi dai 17 ai 22 anni nel concorso per l’ammissione alla prima classe del corso normale.
Catanoso , al quale non è piaciuto affatto l’approccio marketing oriented della Marina Militare e, ancor meno, l’uso della lingua inglese, ha presentato sull’argomento una interrogazione al Ministro della Difesa. «La comunicazione, il marketing, la televisione, la cultura e, da oggi anche la Marina Militare – dice Catanoso – si sono adeguati agli aspetti più deteriori del mondo globale. A mio parere non credo si sentano molto “cool” i Marò Latorre e Girone o il resto dei Marinai d’Italia, dopo aver visto la nuova campagna di arruolamento».

«La Marina sia fresca nel linguaggio ma antica nei valori»

«Comprendo che, rivolgendosi a un pubblico giovane e sensibile ai “valori” d’oltreoceano, si sia pensato di usare codici freschi e internazionali: peccato, però – osserva – che la Marina Militare rimanga uno dei simboli dell’italianità sana. Gode da sempre di grande rispetto da parte delle marinerie straniere ed è in sé uno strumento di esportazione del “Made in Italy”». «Provoca rabbia, fastidio, disgusto e tristezza – conclude Catanoso – vedere la Marina Militare firmarsi “Navy” per rendersi più affascinante nei confronti delle giovani reclute. La Marina militare italiana deve ricercare la freschezza non nel linguaggio ma nelle armi in dotazione, nelle modalità di addestramento e nell’approccio alle nuove forme dei conflitti. Per il resto deve rimanere profondamente antica».

Anche la Rete si ribella in massa: siamo italiani, non inglesi

Sul profilo ufficiale Facebook della Marina Militare, in effetti, la campagna di comunicazione esterofila ha raccolto più detrattori che fan. «Perché il manifesto è scritto in inglese?», si chiede perplesso Fausto Armani. «Come pretendete di essere orgogliosi della nostra Nazione se non usate neppure più la nostra lingua nazionale!? …Oramai anche le Forze armate della nostra Nazione stanno diventando sempre più espressione di una misera colonia serva della Nato e meno dei nostri stessi interessi nazionali», chiosa con vena polemica Alessandro Monti. «Vergognatevi, la Marina Militare è italiana!!», puntualizza Michele Zandonai. «Scusate ma mi sono perso qualche cosa? Credevo di essere nel sito della Marina Militare Italiana e non la Us Navy . Ormai da tutte le parti si usa la lingua inglese ma la nostra bellissima lingua italiana non va più bene? Metto un bel “non mi piace”», taglia corto Renzo Ferrari. «I don’t speak English, italian please», scrive polemico Stefano Pulsinelli. Caustico Samuele Primavera: «Perché usate lo squallido idioma di gente che andava nuda a caccia di marmotte mentre da noi già si accoltellava un Giulio Cesare? Perché non usate la nobile lingua di Dante, Boccaccio, Angiolieri, Foscolo, D’Annunzio, Verga, Montale, Pascoli, Ungaretti, Pirandello e chi più ne ha più ne metta?». Ironico Luca Torrisi che prende in prestito l’impresa di Alessandria della Xa Flottiglia Mas contro la Marina inglese: «Cosa è questa roba? Riparazioni di guerra per l’affondamento della “Queen Elisabeth“?». E c’è chi, come Giuseppe Carraro, da marinaio, non gradisce l’immagine utilizzata dalla Marina, una giovane marinaia sorridente sporca di morchia in sala macchine e con una chiave, inglese ovviamente, in mano: «Io non ho nulla contro le donne, le amo, ma in sala macchine portano na sfiga na sfiga!!!!!!….».

Pollice su dei pubblicitari: claim azzeccato, parla ai giovani

Opposto, invece, il giudizio dei pubblicitari di professione, cioè di chi è abituato a pensare in un’ottica di risultato rispetto a certe scelte che possono sembrare ardite, magari lo sono anche ma, alla fine, colpiscono e raggiungono l’obiettivo. Piace la scelta strategica di adeguare il linguaggio al ricevente, cioè ai giovani, certi che la campagna verrà valutata nel suo complesso dall’analisi dei risultati. Annota Daniele Casarin, sul claim che non piace a Catanoso e alla rete: «Forse audace, fuori dagli schemi militari e lontano anche da una certa idea un po’ ottocentesca del corpo militare ma senza dubbio un mood “in target”, cioè ben diretto ad una fascia così giovane di età. E’ molto probabile che i guru della comunicazione tradizionale possano leggere in questa campagna un degradamento di quell’aura romantica e un po’ elitaria che la Marina Militare italiana ha sempre portato con sé ma la strategia è azzeccata. Potrebbe essere giunto il momento di una prima attività di sperimentazione verso nuovi canali di comunicazione digitale e adeguarne così il tono e il linguaggio?». E Casarin coglie anche un aspetto non secondario. L’associazione visuale «con l’icona culturale statunitense Rosie the Riveter, quella che ha ispirato il celebre manifesto di propaganda del ’43 di Howard Miller e che recitava “We can do it”».

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