Il Papa invoca una risposta unanime contro il dilagare delle violenze

12 Gen 2015 15:35 - di Ginevra Sorrentino

Acquista un valore simbolico straordinario il viaggio in Asia di Papa Francesco, il settimo del pontificato di Francesco I, che Bergoglio si accinge a intraprendere all’indomani della marcia antiterrorismo islamico e di unificazione nazionale – e internazionale – di Parigi, dopo la strage di Charlie Hebdo e dell’ipermercato kosher. Attentati contro la vita e la libertà per cui, «di fronte alla ingiusta aggressione» che colpisce i cristiani e altri gruppi etnici e religiosi in Siria e Iraq – ha detto Bergoglio – «occorre una risposta unanime che, nel quadro del diritto internazionale, fermi il dilagare delle violenze, ristabilisca la concordia e risani le profonde ferite che il succedersi dei conflitti ha provocato». Un appello, quello del Pontefice, seguito dall’invito rivolto dal Papa «all’intera comunità internazionale, così come ai singoli governi interessati, perché assumano iniziative concrete per la pace e in difesa di quanti soffrono le conseguenze della guerra e della persecuzione e sono costretti a lasciare le proprie case e la loro patria».

Il viaggio in Sri Lanka e nelle Filippine

Un’invocazione a reagire alla violenza del fondamentalismo islamico e al terrorismo dell’Isis che non può non punteggiare il diario di viaggio di questa nuova missione apostolica di Papa Francesco, in Asia per la seconda volta in cinque mesi dopo la visita in Corea: una realtà complessa in cui interagiscono, e non sempre pacificamente, religioni ed etnie diverse. Non solo: nel percorrere 25.000 chilometri e tenere ben 11 discorsi pubblici, Bergoglio ha scelto soprattutto le Filippine, che fungono notoriamente da Chiesa sorella per i cattolici clandestini di quella Cina cui Papa Francesco guarda con attenzione, e lo Sri Lanka, un Paese di circa venti milioni di abitanti, dove i cristiani sono una minoranza, con la peculiarità di accogliere sia tamil che cingalesi, e dove la pacificazione è ancora lontana nonostante il conflitto sia cessato nel 2009.

Sulla rotta del dialogo tra le religioni

Un’ulteriore conferma dell’attenzione ecumenica rivolta dal Pontefice al conflitto interreligoso. Le Filippine, allora, insieme a Timor Est, sono l’unico Paese asiatico a maggioranza cristiana: l’81% dei circa cento milioni di abitanti è cattolico, l’11% di altre confessioni cristiane, il 5% di islamici soprattutto sunniti, presenti in particolare nell’isola di Mindanao, il 2% di buddisti. Mentre lo Sri Lanka, a sua volta, presenta un panorama in cui i cristiani sono il 7,5 %, di cui il 6,5 cattolici, gli islamici sono il 9,7%, i buddisti il 70,2% e gli indu il 12,6%. È ovvio, allora, che quanto il Pontefice dirà o vivrà negli incontri in programma con i leader religiosi acquista un peso specifico differente, con il comune denominatore dell’indispensabilità del dialogo tra le religioni per la pacificazione, nodo sempre più centrale per gli equilibri mondiali a fronte delle degenerazioni terroristiche e delle persecuzioni etniche e religiose perpetrate in nome del fondamentalismo islamico da parte di Isis, Al Quaida e Boko Haram.

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