Imbarazzo per il tweet sulla Roma: ma per Renzi è sempre colpa degli altri
Alla fine ci ha messo anche la faccia e ha rilasciato un’intervista a Repubblica: «In quel momento pensavo di essere loggato col mio account, invece ero loggato con quello di Matteo», ha spiegato Franco Bellacci, lo storico collaboratore di Matteo Renzi, autore – hanno fatto sapere da Palazzo Chigi – di un tweet su Roma-Udinese che ha scatenato polemiche e perplessità.
Una storia ridicola
Bellacci ha fatto dire a Renzi, o almeno al suo account Twitter, che «parlare di furto è stravolgimento della realtà». Rispondeva all’ex portavoce del premier, Marco Agnoletti, che aveva scritto «almeno stavolta vedete di far fruttare 3 punti il vostro furto». Ne è scaturita una querelle tra il calcistico e il politico, culminata con la cancellazione del tweet e una precisazione sulla «banale svista» del collaboratore da parte di Palazzo Chigi. Insomma, una storia ridicola, che però getta un po’ di ridicolo anche sulla presidenza del Consiglio. E offre almeno due motivi di riflessione sulla credibilità del premier.
Chi “cinguetta” per Renzi?
Il primo: Renzi ha costruito gran parte della sua fortuna proprio grazie ai social. Bellacci ha assicurato che la password del premier lui la usa solo per controllare quello che succede, che non cinguetta mai e che questo episodio non incrina l’immagine di “Renzi super twittatore”, come lo ha definito l’intervistatore. Invece, l’incrina eccome e tutti da oggi rimarranno col sospetto che l’attivismo del premier su Twitter sia solo o per lo più il frutto del lavoro di qualche suo collaboratore.
E chi gli scrive i decreti?
Il secondo motivo di riflessione: Renzi ha il controllo di quello che gli succede intorno? Passi il tweet che, si diceva, di per sé è una vicenda ridicola. Ma se lo si incrocia con la faccenda dell’articolo indicato come “salva Berlusconi” e inserito nel decreto fiscale la questione si fa un po’ più seria. Un elemento, infatti, unisce i due episodi: da Palazzo Chigi escono parole e leggi che il premier poi è costretto a smentire o ritirare, addossando la colpa ad altri. Ma il pasticcio resta anche quando si trova un fidato collaboratore da offrire alla pubblica opinione. Figurarsi quando, come nel caso del decreto fiscale, l’autore della “gaffe” resta da individuare.