Quarant’anni di note ribelli, il viaggio musicale della Compagnia dell’Anello

15 Gen 2015 13:32 - di

Nel 1974 un gruppo di giovani del FdG e del Fuan di Padova stabilì di far nascere il gruppo padovano di Protesta nazionale, primo nucleo del gruppo musicale La Compagnia dell’Anello, uno dei più rappresentativi della musica alternativa, espressione con la quale si definisce comunemente la musica espressa dall’arcipelago anticonformista della destra a partire dagli anni Settanta. Quarant’anni dopo un cd – Quadraginta annos in unum fideles – raccoglie quelle esperienze rieditando testi e note che segnarono una generazione, a cominciare dalla prima canzone dedicata ai caduti del Msi, Padova 17 giugno 1974, sul testo di una poesia scritta da Gigi Toso dopo il barbaro omicidio di Mazzola e Giralucci ad opera delle Brigate rosse. La voce è sempre quella ormai “storica” di Mario Bortoluzzi (autore di tutti i testi del disco insieme a Massimo Di Nunzio), gli arrangiamenti sono nuovi e quelle vecchie canzoni somigliano oggi a malinconiche ballate che riportano indietro chi ascolta, agli anni furenti in cui era possibile che anche le note fossero strumento di sfida, vessilli da innalzare contro un sistema oppressore.

Le trame nere e i neofascisti in carcere 

A volte con ironia, come nel caso di Sunglasse’s Policeman Blues, canzone che ironizza sulle trame nere utilizzate ad arte dai media dell’epoca per criminalizzare il mondo della destra: “Sono occhiali speciali davvero/ son di vetro temprato e scurito/ per vedere le piste più nere/ per vedere i colpi di Stato/ gli sqaudristi teppisti fascisti…”. A volte con rabbia, come nella canzone A Piero, nella quale si esprime solidarietà ai tanti che finirono dietro le sbarre solo perché schierati con la “parte sbagliata”: “Ringrazio lor signori per gli anni ricevuti/ma prima di finire lasciate che saluti/ chi mi ha condannato proprio no, non l’ha capito/ il carcere non basta perché io sia finito”.

Inno a Boscutti e Kaly Yuga

Nel cd anche due inediti: la prima canzone è dedicata al pilota dell’aeronautica nazionale repubblicana Giovanni Battista Boscutti, caduto eroicamente per difendere la città di Padova dai bombardamenti angloamericani nel 1944. “C’era il sole in quel giorno di marzo/ Sul tuo Macchi ti sentivi un re/ C’era morte con tutto il suo sfarzo/ Cento e cento erano sotto di te/ La tua scelta fu immediata/ Fu l’amore che scelse per te/ La tua forza liberata/ Come aquila in volo con te”. Il secondo inedito s’intitola Kali Yuga ed è un ritratto disincantato di un mondo privo di valori, di un mondo “rovesciato senza fede né pietà”. Un testo che non si schiude alla speranza anche se in alcuni versi si accenna alla possibilità che questa era di decadenza possa finire un giorno e che stride di sicuro con quello che è stato l’inno dei giovani di destra per tutti gli anni Ottanta e Novanta e con il quale la Compagnia chiudeva i suoi concerti, Il domani appartiene a noi. A quella certezza di vent’anni fa, cantata con gioia spavalda e con il sentimento di chi sentiva prossima una rivincita soprattutto culturale, si accompagna oggi l’idea di essere immersi in una “realtà deformata”. Cambiano i tempi, cambiano gli orizzonti e le parole per interpretare il proprio tempo. I toni si fanno più cupi, disincantati. Un velo di tristezza avvolge dunque questo lavoro che non è solo amarcord, è soprattutto storia: di una comunità, di una passione.

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