La Russa: ci “sdoganammo” da soli. An fu un’esperienza irripetibile

27 Gen 2015 8:16 - di Gloria Sabatini

Un’esperienza unica, preparata a lungo, molto prima di Fiuggi. “Fu una stagione importantissima della mia vita, scandita da ricordi indelebili”. Ignazio La Russa, classe 1947, oggi esponente di spicco di Fratelli d’Italia, ricorda la fibrillazione di quelle giornate che portarono dopo mezzo secolo la destra di nuovo protagonista del palcoscenico politico.

Lo strappo 20 anni dopo. Come andarono le cose?

Nessuno strappo ma il raccolto dopo una lunga semina. Alleanza nazionale nacque  quando Pinuccio Tatarella, molto prima di altri, si  mise in testa che si doveva avviare la fase 2 del Movimento sociale. Ricordo che eravamo insieme a Taormina quando andammo a trovare Almirante e Tatarella ottenne il via libera per la candidatura di Fini alla segreteria, eravamo all’indomani delle elezioni dell’87. “Dobbiamo muoverci”, mi disse. “Perché proprio Gianfranco (che all’epoca era solo il segretario dei giovani del Fdg) ?”, gli domandai. “Perché è l’uomo giusto per il progetto”. E devo dire che per quasi vent’anni ha avuto ragione. Oltre, neanche Pinuccio poteva vedere…  L’idea di costruire una nuova destra oltre i recinti missini, insomma, è di Tatarella ma la volle soprattutto Almirante.

Quindi prima della famigerata tesi di Fisichella apparsa sul Tempo?

Molto prima. L’altro step, invece, è farina del sacco di Fini: la candidatura a sindaco di Roma nel ’93. L’idea nacque quasi per caso: inizialmente lo schema era quello di appoggiare il prefetto Caruso, il  candidato ufficiale della Dc di Martinazzoli, ma dovemmo cambiare strada perché… non ci vollero. Allora Gianfranco ruppe gli indugi e disse “mi candido io”. Ricordo che proprio  in quei giorni una domenica andammo insieme allo stadio a vedere la Lazio, c’era anche Daniela, ed era una processione di persone, tutte a stringere la mano e a chiedere autografi. “Qui non è come a Milano – mi disse Fini – vedrai che faremo il botto”.  Poi arriva l’articolo di Francesco Storace sul Secolo, commissionato da Fini,  e quello di Fisichella sul Tempo.

Che peso ha avuto, a conti fatti,  lo sdoganamento di Berlusconi?

L’ho detto molte volte, fin da allora, Fiuggi fu il punto di arrivo di una serie di circostanze felici. Il contributo di Berlusconi ci fu, ma la destra era pronta al grande passo.Direi che noi “sdoganammo” l’imprenditore Berlusconi e il Cavaliere ci aiutò a uscire dal ghetto decennale. La celebre dichiarazione di voto per Fini, infatti, fu pronunciata dopo il primo turno quando  eravamo già al ballottaggio. Poi, in un crescendo di aperture nuove, si  arriva al congresso di Fiuggi, che per una strana strana coincidenza tra vita politica e privata,  coincide con la nascita di mio figlio Lorenzo. Un altro nacque nei giorni del secondo congresso di An, per fortuna non ne abbiamo fatti più…

Facciamo un bilancio a freddo…

Le interpretazioni su Alleanza nazionale mi ricordano uno dei racconti delle Cosmicomiche di Italo Calvino, quello che parla dei dinosauri, passano gli anni e dello stesso evento si danno le letture più diverse: fu un mito, uno schifo, un miracvolo, una leggenda, un errore…  Oggi si tende a mitizzare l’epopea del Msi e in effetti fu un’avventura unica, fatta di uomini vinti dalla guerra che attraversano il deserto per consegnare la fiaccola della destra. Su An, invece,  i giudizi sono più tranchant perché si guarda agli ultimi mesi di quell’esperienza. Ma se pensiamo ai primi dieci anni di vita ci accorgiamo che fu un autentico miracolo: ricordo la celebrazione del decennale all’Eur, scandito dallo slogan “Eravamo in pochi a chiamare patria l’Italia, oggi siamo la maggioranza”. Il concetto di identità nazionale, di comunità, i nostri simboli: non solo era cambiato il giudizio storico su di noi ma la destra informava la società dei suoi valori. Per una volta eravamo noi, e non la sinistra, a vincere la guerra delle parole. Da allora la destra non è più sinonimo di terrorismo, il conservatorismo non è un insulto.

Neanche un errore?

Certo. Ci fu un grande  errore, commesso da tutti noi, quello di non aver valutato a fondo il peso della conflittualità tra Berlusconi e Fini. L’idea del partito unico di centrodestra  nasce dall’ambizione di dare vita a un movimento forte alternativo alla sinistra. In tanti avevamo dubbi sulla fusione, tanto che c’era già pronta la bozza di accordo per una federazione che avrebbe mantenuto in vita i due partiti. Poi l’accelerazione inaspettata dopo il discorso del predellino…

Siamo alle comiche finali disse Fini a caldo. Poco dopo lo scioglimento di An…

Tra le due posizioni, però, accadde una cosa rara. A Berlusconi e Fini morirono le mamme quasi contemporaneamente e in quel quadro di forte conflittualità e competizione questo lutto comune venne letto dai due come il segnale di riavvicinamento, quasi un segno del destino. Ricordo ancora la telefonata di Fini, era con Matteoli, nella quale mi disse che la situazione era matura, che serviva fare un salto di coraggio con il partito unico. Eravamo tutti molto perplessi a cominciare da me, ma anche Roberto Menia, che da destra prese una posizione critica per paura di morire berlusconiano. Poi le cose andarono come tutti sanno fino al “che fai mi cacci?”. Fini poteva avere legittimamente una visione diversa sulla conduzione del partito, ma aver preteso, per di più da presidente della Camera, di uscire dal Pdl  guardando verso il centro è stato un errore clamoroso che ha sancito la nostra divisione. Da allora ho avuto l’occasione di parlare mezz’ora con Fini e gliel’ho detto: avrei accettato di lasciare il Pdl e di rompere per virare a destra non verso il centro. Fu una scelta sbagliata,  molti lo seguirono più per amicizia e riconoscenza che per convinzione.

Adesso? L’eredità è un fardello pesante

Cambiano i nomi, i simboli, gli scenari, ma lo spirito del ’46 che ha attraversato decenni è un làscito è ancora vivo. Ancora oggi, tra mille disavventure e fratture, c’è un filo rosso ininterrotto che non deve sparire.

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