L’ex-pm Ingroia difende il boss La Torre. «Ma solo perché dice la verità»
Aveva promesso di non difendere mai «mafiosi né corrotti». A meno che nel frattempo non si fossero pentiti decidendosi a collaborare con lo Stato. E così Antonino Ingroia, già procuratore aggiunto di Palermo nonché mente giuridica dell’impianto accusatorio nel processo della cosiddetta trattativa Stato-mafia e infine candidato a premier nel 2013 con risultati tutt’altro che soddisfacenti, una volta passato all’avvocatura ha deciso di difendere il boss della camorra, Augusto La Torre, di recente laureatosi in psicologi.
La notizia del patrocinio di Ingroia durante il processo Landolfi
La clamorosa circostanza è emersa nel tribunale, a Santa Maria Capua Vetere, nel Casertano, durante il processo in cui è imputato l’ex ministro e nostro collega Mario Landolfi, completamente scagionato – per la cronaca – dalla deposizione di La Torre, chiamato a testimoniare per conto dell’accusa. A confermare il patrocinio legale al “boss psicologo” il portavoce dell’ex-pm, Maurizio Sansone che ha spiegato come la decisione sia stata favorita dallo status di collaboratore di La Torre.
Nel 2004 il boss scrisse all’ex-ministro: «Falsi pentiti ti vogliono incastrare»
In realtà, quella di La Torre è una storia controversa. Capo dell’omonimo clan dal 1980 al 2003, attivo a Mondragone, centro del territorio domizio al confine con il basso Lazio. Proprio nel 2003 La Torre si pentì, ma poco dopo, come ha spiegato lui stesso in videoconferenza, la protezione gli fu revocata per un’estorsione commessa ai danni dell’imprenditore della mozzarella Mandara. Nonostante ciò ha continuato a collaborar: ha deposto in 49 processi (autoaccusandosi di ben 40 omicidi) risultando sempre credibile. Nel corso dell’udienza del processo contro Landolfi, anch’egli di Mondragone, ha detto che mai alcun contatto c’è stato tra il clan e l’ex-ministro, che anzi avrebbe voluto “punire” per le sue decise prese di posizione contro la camorra. La Torre ha anche confermato che nel 2004 scrisse tre lettere a Landolfi (da lui puntualmente consegnate al pm Raffaele Cantone, all’epoca in forze alla Dda di Napoli) al fine di metterlo in guardia circa una manovra di «falsi pentiti» ai suoi danni «per incastrarlo». Tre anni dopo, nel 2007, Landolfi viene effettivamente indagato (oggi è imputato) con l’ipotesi di corruzione e truffa aggravata dall’art. 7 (agevolazione del clan mafioso) per un consigliere comunale di Mondragone dimessosi ad un mese dalla scadenza naturale del civico consesso ricevendone in cambio – secondo l’accusa – l’assunzione trimestrale della moglie nella società Eco4. Una vicenda rispetto alla quale Landolfi si è sempre dichiarato estraneo. E la deposizione del boss pentito difeso da Ingroia sembra dargli ragione.