Stato-Mafia, un prete rivela: «Da Scalfaro confessione sconvolgente»
«È finita l’ora di Nicolò Amato, si deve cambiare», con queste parole l’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro avrebbe comunicato, nel 1993, a due sacerdoti, la rimozione dall’incarico del capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di Nicolò Amato. A riferire l’episodio è monsignor Fabio Fabbri, ex vice-ispettore generale dei cappellani delle carceri, che sta deponendo al processo Stato-mafia sulla presunta trattativa nel periodo delle stragi. L’ex capo dello Stato avrebbe convocato monsignor Cesare Curioni, suo amico di vecchia data e capo dei cappellani delle carceri, insieme a Fabbri. «Io e Curioni rimanemmo sconvolti – ha spiegato – Comunque era chiaro che Scalfaro non stimava Amato. Disse che era una “prima donna». Poi c’erano i veti posti da Scalfaro che avrebbe indicato una lista di tre persone, tenuta nel cassetto, che non voleva al Dap. «Finché sono capo dello Stato questi qui non li voglio», avrebbe detto. La Procura vede nella sostituzione del direttore del Dap il tentativo di mettere alla guida del Dipartimento un uomo che, a differenza di Amato, avrebbe garantito il suo sostegno al dialogo sul carcere duro ai boss avviato da parte dello Stato con la mafia.
Scalfaro fece scegliere l’erede di Amato ai due preti
Furono addirittura i due prelati, monsignor Cesare Curioni, amico di vecchia data dell’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e capo dei cappellani delle carceri, e Fabio Fabbri, vice di Curioni, a indicare il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria: colui che doveva succedere a Nicolò Amato, che fu sostituito a giugno 1993 da Adalberto Capriotti. «Quando andammo al Quirinale – ha spiegato Fabbri – nel 1993, ricevemmo dal capo dello Stato l’indicazione di dare una mano al Guardasigilli, Giovanni Conso, per individuare il nuovo direttore generale del Dap. Quando andammo da Conso, il ministro era agitato, non sapeva come procedere per la sostituzione di Amato. Si mise le mani nei capelli. Io e Curioni manifestammo le nostre perplessità sulla sostituzione di Amato, ma Conso tagliò corto: «Il presidente ha detto così e così bisogna fare». Tra i nomi che i due sacerdoti e Conso vagliarono per la successione, ci sarebbe stato anche quello di Giuseppe Falcone, ex presidente del tribunale dei minorenni. Ma, racconta Fabbri, per il ministro era «uno troppo duro». Alla fine la scelta ricadde su Adalberto Capriotti, all’epoca magistrato a Trento. Si sondò la sua disponibilità e lui accettò. «Se io non avessi fatto quel nome – ha spiegato Fabbri – Capriotti se ne stava a Trento. Io feci quel nome, Conso controllò su un librone e disse che si poteva fare».