Mario Monti, la storia del triste declino di “Bin Loden”

7 Feb 2015 15:15 - di Niccolo Silvestri

Forse l’aveva previsto, forse si era reso conto che non basta il laticlavio di senatore a vita per diventare un vero politico o forse è subentrata una sorta di appagamento, essendo egli in poco tempo transitato dai ranghi dei tecnocrati all’esclusivo club delle riserve della Repubblica, fatto sta che Mario Monti, professore prestato alle istituzioni ha avuto l’occhio lungo nel decidere di divorziare unilateralmente dalla sua “creatura”, Scelta Civica, il partito che aveva fondato con l’ambizioso obiettivo di cancellare, una volta e per sempre, il Cavaliere dalla scena politica.

Mario Monti abbandonato da otto senatori

Prima di lui non si era mai visto un fondatore-affondatore, uno che impegna la forza di un governo in carica per mettere in piedi un partito e poi buttarlo via come una scarpa vecchia dopo la delusione incassata per la mancata elezione al Quirinale nel 2013. Una scelta più che civica, incomprensibile, ma che ora gli fa da comodo cuscinetto per attutire la magra rimediata dall’esodo di ben otto senatori capeggiati da Linda Lanzillotta approdati sulle più rassicuranti sponde del Pd di Matteo Renzi. Una fuga a poche ore dal congresso che allunga un’ombra sinistra sui registi e sulle finalità dell’operazione. A parti invertite, si sarebbe scatenato l’inferno. Chiedere per conferma ad Antonio Razzi e a Domenico Scilipoti ormai inchiodati alla loro “responsabilità” come povericristi ad una croce. Qui, invece, visto che a beneficiarne sarà la sinistra, suonerà tutta un’altra musica.

La sua missione era far perdere le elezioni a Berlusconi

Ma torniamo a Monti, già “Bin Loden”, il severo bocconiano che aveva fatto del suo cappotto il simbolo di una ritrovata sobrietà dopo l’eterno carnevale del Cavaliere. In realtà, ha solo propinato agli italiani un’interminabile quaresima fatta di tagli, tasse e mancate riforme che hanno finito per compromettere ancor di più i nostri conti pubblici. E ora è lì a guardare indifferente la liquefazione del suo partito, fagocitato dal fattore “R”, inteso come Renzi, di cui i transfughi celebrano la «spinta riformatrice» che – a loro – dire avrebbe reso del tutto inutile una forza (si fa per dire) come Scelta civica. Tra un Alberto Bombassei, che richiama alla lealtà, ed un tal Gianluca Susta, che rivendica la scelta di andare via, è la Lanzillotta a spiegare l’arcano di Sc: «Rispetto al 2013 è cambiato tutto. Allora Scelta civica sottrasse a Silvio Berlusconi i voti con i quali avrebbe vinto le elezioni». Insomma, la missione di disarcionare il Cavaliere dal governo è perfettamente riuscita. Ora Scelta Ci(n)ica non serve più. Una prece.

 

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