Pannella: «Lo Stato ha ucciso il boss Schiavone invece di dirgli grazie»

28 Feb 2015 18:47 - di Roberto Mariotti

«C’è un morto, si chiama Carmine Schiavone, credo assassinato dallo Stato pochi giorni fa, perché questo capo camorra, questo assassino si è pentito davvero, ha raccontato quello che ha fatto di peggio, di strage, la strage è reato di pericolo»: così Marco Pannella intervenendo a Montelupo Fiorentino dal palco del XV congresso dell’Associazione Radicale Fiorentina Andrea Tamburi. «Questo qui si accorge che facendo il suo mestiere di assassino, di camorrista, ma con delle regole, ha contribuito ad infestare non solo l’intera terra dei fuochi ma per dieci anni, dodici, con l’aiuto e per richiesta dello stato, a riempire e a fare di quei luoghi strage, perché la strage è un reato di pericolo, è quella che si prepara e viene».

 La tesi di Pannella su Schiavone

«Oggi lui ci ha raccontato in modo chiaro – prosegue Pannella – dove sono stati sepolti rifiuti tossici, luogo per luogo, sito per sito, indicando anche la provenienza dalle singole industrie, e lui, pentito davvero, l’ha raccontato. È quello che ha voluto riparare il male che aveva concorso a fare. Prima non aveva cultura ecologica, poi se l’è creata, ha detto dove sono state seppellite tonnellate di veleni, con i riscontri delle realtà tumorali in quelle zone, Campania, Basilicata, Puglia, un disastro. Carmine Schiavone, assassinato di stato, non so perché, si è capito che era malato ma a un certo punto un incidente ed è morto, un incidente, ed è andato, è andato via il principale testimone che si era autoaccusato di essere uno degli esecutori creativi di questa strage di stato, è il testimone che si è tolto, magari non hanno fatto nulla perché potesse esserci questo testimone ancora vivo. Vivano oggi gli Schiavone, grazie Schiavone, credo – conclude Pannella – che sia stato sicuramente oggetto di un reato contro di lui, un reato di pericolo assunto dallo Stato italiano che aveva il terrore di quello di cui lui era testimone, coautore ed altro, indicando le cause di morte nei luoghi in cui aveva fatto seppellire i veleni».

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