Roberti (Dna) sferza la Chiesa: «Contro la mafia troppi silenzi omertosi»
«Sono convinto che la Chiesa potrebbe moltissimo contro le mafie e che grande responsabilità per i silenzi sia della Chiesa». È un j’accuse da togliere il respiro quello lanciato dal procuratore nazionale Antimafia, Franco Roberti, in occasione della presentazione della relazione annuale sulle attività svolte nel 2014 dalla Dna. Parole esitante a far discutere ma anche a squarciare il velo d’ipocrisia, quando non proprio di omertà che da troppo tempo copre alcune timidezze di alcune diocesi meni confronti della criminalità organizzata, mafia e camorra in testa.
Roberti ricorda don Diana e don Puglisi
È lo stesso Roberti a spiegare il senso della sua affermazione: «Viene ammazzato don Diana, poi don Puglisi: reazioni zero. Siamo dovuti arrivare al 2009 per iniziare a parlarne timidamente. Ora finalmente si è mossa qualcosa con Papa Francesco ma per decenni la Chiesa avrebbe potuto fare ma non ha fatto nulla. Papa Francesco – ha aggiunto – ne parla apertamente ma sono dovuti passare altri 6 anni per la scomunica dei mafiosi». Il numero uno dell’antimafia ricorda anche le recenti polemiche scatenate dagli “inchini” di santi portati in processione davanti alle case dei boss e accusa: «A fronte di tanti segni di falsa religiosità, chi doveva coglierli e contrastarli davanti allo stesso popolo non lo ha fatto; preti e vescovi in Calabria, Sicilia e Campania sono stati, salvo rare e nobilissime eccezioni, silenti e hanno perfino ignorato messaggi forti che pur provenivano dall’alto: basti pensare a quelli di Giovanni Paolo II ad Agrigento e di Benedetto XVI a Palermo».
Dalla diocesi Acireale primo segnale di cambiamento
Tra i segni «concreti di cambiamento», Roberti cita il decreto (del giugno 2013) del vescovo di Acireale che vieta in tutta la giurisdizione della diocesi il funerale religioso al mafioso condannato che non abbia manifestato, «nel faro esterno», alcun segno di ravvedimento. Nella relazione tale decisione viene giudicata «innovativa» quasi anticipatrice del «senso religioso della scomunica lanciata ai mafiosi da Papa Francesco in Calabria». Quelle parole del Pontefice – osserva la Dna – rappresentano «quasi un programma antimafia», tanto è vero che dopo quella visita «l’atteggiamento della chiesa locale è cambiato».