Sì alla fecondazione “post mortem” con embrioni congelati 19 anni fa

10 Feb 2015 9:51 - di Robert Perdicchi

Ok all’impianto in una donna di embrioni congelati 19 anni fa, anche se il marito è morto nel 2011. È la decisione del tribunale civile di Bologna: accogliendo il reclamo di una 50enne del Ferrarese, dopo che il suo ricorso era stato rigettato in primo grado, i giudici ora ordinano al policlinico Sant’Orsola di provvedere immediatamente all’impianto degli embrioni prodotti con fecondazione assistita nel ’96, prima della legge 40, e da allora crioconservati. Il collegio della prima sezione civile (Betti, Squarzoni, Gaudioso) si riferisce nell’ordinanza proprio alla legge 40 del 2004, che in Italia vieta la crioconservazione di embrioni – se non nel caso in cui la donna, dopo la fecondazione, non possa procedere all’impianto per gravi motivi di salute – ma regola anche con linee guida le procedure di fecondazione intraprese prima della sua entrata in vigore, come nel caso della coppia. Per i giudici, che per giudicare il caso specifico si rifanno a tali linee guida “in caso di embrioni crioconservati, ma non abbandonati, la donna ha sempre il diritto di ottenere il trasferimento”. E per questo va accolto il ricorso, firmato dall’avvocato Boris Vitiello. La coppia, che si sposò nel 1998, nel 1996 si era rivolta al centro di fecondazione assistita dell’ospedale.

Embrioni da utilizzare, nonostante la morte del marito

Nel 1996 fece un intervento, ma l’impianto non riuscì: otto embrioni non impiantati furono congelati, con il consenso dei due. In seguito, anche per una malattia dell’uomo, la coppia non ci riprovò, ma gli embrioni sono rimasti crioconservati e ogni anno, fino al 2010, i due hanno confermato la volontà di mantenere gli embrioni. Dopo la morte del marito, lei si è rivolta ancora al centro di procreazione medicalmente assistita chiedendo l’impianto. Nonostante il nulla osta del comitato di bioetica dell’ università, la direzione ha negato la possibilità, però, per un’interpretazione della legge 40 secondo cui doveva sussistere la permanenza in vita di entrambi. A febbraio 2013 c’è stato il ricorso in via d’urgenza, il rigetto del tribunale, poi il reclamo accolto dal collegio, dopo un’udienza a dicembre 2014. Secondo l’ordinanza, anche se la dichiarazione del 2010 non si può considerare un valido consenso, la stessa “costituisce una manifestazione di volontà idonea” ad escludere gli embrioni dalla categoria di “embrioni in stato di abbandono”. In conclusione i giudici scrivono che, vista l’età della donna, l’aleatorietà dei risultati della fecondazione assistita e le maggiori difficoltà proporzionate al progredire dell’età, è necessario provvedere in via d’urgenza, non potendo la 50enne “attendere il normale esito di un procedimento civile ordinario, stante la sua lunga durata”.

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