La speranza è che Sergio Mattarella faccia l’arbitro davvero
Cosicché, adesso è tutto un incrociare di dita. E sperare. Sperare che quei quarantadue applausi per una mezz’ora scarsa di discorso abbiano effetto. Perché è un record ed è troppo, quello stabilito da Sergio Mattarella. Record per quel suo discorso di insediamento, scandito sillaba dopo sillaba con un accento così lieve che nessuno avrebbe detto essere palermitano. Troppo perché neppure il remake del Petrolini/Nerone di Blasetti riuscirebbe ad oscurarlo. Anche se tanto, in quello spellarsi le mani, gli somiglia. Col rischio che l’enfasi si trasformi in burla e che la mitica sacralità delle istituzioni democratiche vada a farsi benedire. Così, tutti con le dita incrociate: e che l’arbitro lo sia davvero.
Troppe standing ovation
Nonostante i troppi applausi. E le troppe standing ovation. Nonostante il troppo di tutto. Come le telecronache dei tg e dei talk-show, le ricostruzioni delle giornate, delle passeggiate e delle scalinate. E l’umile “Panda” e i giudizi del barbiere e della cuoca e del portiere così come gli applausi e gli auguri: tutto vero, per carità. Ma anche troppo. Come l’omaggio deferente e genuflesso dei quotidiani a titoli unificati. Sull’imparzialità dell’arbitro e sugli applausi. Tutti così simili a quel Povia che a San Remo cantava dei bambini che fanno “oh che meraviglia“. Come se fosse stato mai ipotizzabile il contrario. Che poi un discorso di insediamento cos’altro avrebbe potuto essere? Anche perchè se uno fa l’arbitro, se viene addirittura eletto per questa funzione specifica, mica può dare indicazioni sulla strategia per vincere la partita. Né può auspicare alcunché di diverso dalla correttezza in campo.
Faccia l’arbitro e non intervenga
E forse è proprio questo il punto vero. Il motivo dell’eccesso di applausi può risiedere nel fatto che i predecessori, gli ultimi in special modo, eletti arbitri hanno poi indossato la maglia di una delle squadre in campo e giocato la partita. Che è divenuta una mischia senza regole. Alla faccia del popolo sovrano. Così Sergio Mattarella, che ha solo comunicato di voler essere ciò che tutti si aspettano, s’è visto issare sugli altari. Nella speranza che non intervenga, che faccia l’arbitro davvero. E così la retorica s’è impadronita di un discorso da monsieur de La Palisse, facendone roba da mirabilia: oro, incenso e mirra. Senza interrogarsi sul ridicolo. Né sulla nausea che gli italiani, alle prese con una crisi che li sta dissanguando, avrebbero provato. Troppo.