No Tav, chieste 18 condanne per l’assalto allo studio Geomont
Diciotto condanne per altrettanti No Tav sono state chieste dal pm Manuela Pedrotta per la dimostrazione del 24 agosto 2012, a Torino, culminata nell’occupazione della sede di Geomont, uno studio professionale interessato ad incarichi nell’ambito dei lavori per la nuova ferrovia Torino-Lione. Le pene proposte sono comprese fra i due anni e i due mesi e un anno e quattro mesi di reclusione. Il pm procede per violazione di domicilio, violenza privata, danneggiamento e resistenza a pubblico ufficiale.
Quel giorno ci fu un’assemblea al campeggio di Chiomonte. E lì fu deciso di partire alla volta della sede di Geomont in corso Trapani, a Torino. Decine di persone si radunarono sotto all’edificio insieme a diversi No Tav. Il presidio ben presto degenerò, il gruppo diede l’assalto allo studio Geomont, occupò e danneggiò pesantemente i locali. Ma non solo.
Il magistrato contesta al gruppo l’accesso abusivo al sistema informatico perché quel giorno – è la tesi – qualcuno degli occupanti installò in un computer dell’azienda un software per il “controllo remoto” per poter poi, successivamente, entrare nei pc dell’azienda spiare e rovistare fra i files.
Rischia il processo il giornalista che seguì i No Tav nell’incursione
Il magistrato ha anche chiesto la trasmissione degli atti in Procura per un giornalista marchigiano, Davide Falcioni, che pubblicò un resoconto della giornata su una testata online spiegando che non c’erano state né minacce ai dipendenti né danni alle attrezzature. Falcioni, che era insieme agli occupanti, in aula, testimoniando, ha parlato di manifestazione svolta in un «clima sereno». Ma il pm lo ha avvertito che, a quel punto, avrebbe interrotto l’esame testimoniale informando il giornalista che se avesse continuato la testimonianza sarebbe stato indagato per gli stessi reati degli imputati presenti in aula.
«C’è qualcuno – sostiene Falcioni – che da anni utilizza la giustizia come una clava contro un movimento popolare come quello dei No Tav. Ora la clava si utilizza anche verso chi si macchia della colpa di raccontare ma non essere allineato. Alla Procura piacciono i giornalisti “embedded”, mentre le voci indipendenti danno fastidio anche perché non rilanciano le veline delle questure ma partecipano e osservano coi loro occhi. Nel mio caso rischio di essere sottoposto a indagini e quindi rinviato a giudizio».
«Sono entrato in aula come un semplice testimone, un cronista che aveva visto e raccontato puntualmente i fatti di quel 24 agosto 2012 – lamenta Falcioni – Ne sono uscito come persona minacciata di essere sottoposta a indagini. Al pubblico ministero Manuela Pedrotto non frega nulla del “diritto di cronaca” e degli articoli che produssi, per AgoraVox Italia, sulla lotta No Tav di quell’estate».