Impietoso atto d’accusa di Fabrizio Barca sul Pd romano: «Dannoso e clientelare»
«Un partito non solo cattivo ma pericoloso e dannoso, che lavora per gli eletti anziché per i cittadini e senza alcuna capacità di raggruppare e rappresentare la società del proprio quartiere». Il duro atto di accusa contro la struttura del Pd di legge nella “relazione intermedia” di mappatura dei circoli romani dei post comunisti, affidata a Fabrizio Barca da Matteo Orfini. A tre mesi dall’inizio del lavoro di mappatura dei circoli romani, affidata Barca in seguito al commissariamento del partito della Capitale, esce la relazione intermedia che mostra, seppur parzialmente, il panorama incontrato fino a oggi dal team di #mappailPd. La relazione intermedia di MappailPd è consultabile anche online. «Si vanno delineando, a un estremo, i tratti di un partito non solo cattivo ma pericoloso e dannoso: dove non c’è trasparenza e neppure attività – si legge nella relazione – che lavora per gli eletti anziché per i cittadini e dove traspaiono deformazioni clientelari e una presenza massiccia di carne da cannone da tesseramento. Ma bisogna essere attenti a distinguerlo dal partito che subisce inane lo scontro correntizio, le scorribande dei capibastone, e che svolge un’attività territoriale, ma senza alcuna capacità di raggruppare e rappresentare la società del proprio quartiere».
Barca: ma non tutto è da buttare nel Pd
«Certo, si trovano, all’altro estremo, i segni di un partito davvero buono, che esprime progettualità, capacità di raggruppamento e rappresentanza, che ha percezione della propria responsabilità territoriale, sa agire con e sulle istituzioni, è aperto e interessante per le realtà associative del territorio e sa essere esso stesso associazione – inventando forme originali di intervento -, informando cittadini, iscritti e simpatizzanti», si legge ancora nella relazione sul Pd di Roma. «Al contempo – si spiega – bisogna essere attenti a distinguerlo dal partito che lavora sodo e ha quegli obiettivi, ma a cui manca il metodo moderno per farcela, una tipologia difficile da valutare e che, per il peso delle correnti e di una logica generale di assoggettamento del partito agli eletti, ad alcuni potrebbe addirittura apparire come un “partito cattivo”. E poi emerge una sorta di partito dormiente, dove si intravedono le potenzialità e le risorse per ben lavorare, e dove il peso di eletti e correnti è sfumato, ma che si è chiuso nell’autorefenzialità di una comunità a sé stante, poco aperta all’innovazione organizzativa, al ricambio, al resto del territorio». «Ma quanto “partito buono” e “partito cattivo” abbiamo sinora scoperto? È una domanda a cui non è possibile rispondere fino a che non avremo intervistato l’ultimo circolo e riletto l’insieme dei risultati», si chiarisce.