India, nel film censurato lo stupratore accusa: «È colpa della ragazza»
Non cessa l’indignazione per la censura in India del video di denuncia della giornalista britannica Leslee Udwin sull’infame stupro di gruppo in cui Jyoti Singh, studentessa di medicina di 23 anni, perse la vita il 16 dicembre del 2012. Il lavoro di Udwin, intitolato India’s Daughter sarà trasmesso in diverse parti del mondo anglosassone nella giornata dell’8 marzo, festa della donna. Ma non in India, dove lo strupro resta ancora un tabù: quasi 25.000 stupri commessi in un anno, solo uno su 10 denunciato.
India, frasi-choc nel video
Dalle anticipazioni sulla stampa internazionale emergono particolari agghiaccianti, figli di una mentalità patriarcale che considera le vittime colpevoli. Nell’intervista esclusiva, Mukesh Singh, uno dei sei stupratori, realizzata all’interno del carcere Tihar a New Delhi, dove è detenuto con una sentenza in primo grado alla pena di morte, in attesa dell’appello in Corte Suprema. Davanti alla telecamera, Singh giustifica il proprio crimine incolpando la ragazza di «non averli lasciati fare», spiega con frasi-choc: in India una ragazza che esce da sola di notte, non accompagnata da un membro maschile della famiglia, o che si vesta in modo «indecoroso», allora significa che se la sta cercando, sostiene il criminale. Lo stupratore ha più volte ribadito che la vittima non avrebbe dovuto «andarsene in giro alle nove di sera» e che «una ragazza è molto più responsabile di un ragazzo per uno stupro». E che comunque, «se fosse rimasta calma si sarebbe salvata». Ancora: «Solo il 20% delle ragazze è per bene».
La madre della vittima: sia impiccato
La studentessa di fisioterapia morì per le ferite riportare 13 giorni dopo essere stata selvaggiamente aggredita su un autobus mentre tornava dal cinema con un amico. Il crimine suscitò una forte emozione in tutto il mondo e scatenò proteste enormi in India contro le violenza sulle donne, portando a un inasprimento della legge contro gli stupri, ma con scarso esito, visti i numeri delle aggressioni che sono in aumento nonostante per la maggior parte non vengono denunciati. Il documentario avrebbe dovuto sensibilizzare su una situazione inaccettabile e inconcepibile, se si pensa che uno stupro su tre è compito su minorenni. Dopo la pubblicazione dell’intervista, la madre di Nirbhaya non ha usato mezzi toni. Auspicando che l’aggressore di sua figlia «sia impiccato e che si faccia giustizia». «Queste persone sono una minaccia per la società e il governo deve eseguire la condanna a morte». Nell’ordine con cui i giudici hanno bloccato la messa in onda del film si legge che Singh «ha fatto commenti offensivi contro le donne, creando così un’atmosfera di paura e tensione che può portare a delle proteste con rischi per l’ordine pubblico». La regista si appella al primo ministro indiano Narendra Modi e parla di «censura sgarbata». Il ministro per Affari del Parlamento, Venkaiah Naidu, aveva detto: «Abbiamo il diritto di vietare il film in India. C’è una cospirazione internazionale per gettare discredito sul nostro Paese.