Nel romanzo “Vicarìa” la Napoli corrotta e ossessionata dal Lotto
I romanzi storici sono sempre un po’ noiosi, pieni di ragnatele. Un polverio di stelle è invece quanto Vladimiro Bottone, un educatore ambientale, collaboratore del Corriere della Sera e scrittore di Napoli trapiantato a Torino per amore da anni, è riuscito a sollevare nel romanzo Vicarìa (Rizzoli, pagg. 489, euro 19,00), che si legge come un feuilleton, una storia alla Alexandre Dumas, e che ti fa male come uno stiletto da cappa e spada, ma con qualcosa di molto più dolorosamente intimo.
La morte di Antimo
Antimo, un bambino che vive all’Albergo dei Poveri di Napoli con la particolarità di possedere indice e medio della stessa identica lunghezza (una specie di dote scheletrica sopraffina per i borsaioli), muore ammazzato per mano del Comandante di quel luogo infernale. Indagherà sulla sua morte l’ispettore Fiorilli, un poliziotto senza scuse, senza appelli e che non li concede agli altri, ai malasorte che affollano le pagine di questa storia capace di stringere le budella del lettore in una presa di lotta greco romana. Fiorilli è un funzionario della polizia borbonica e nella sua inchiesta prima si imbatte in Emma Darshwood, un’insegnante di musica presso il Reclusorio bella e idealista e poi con monaci ispirati che vendono le proprie visioni ai giocatori del Lotto. Fa male, questo romanzo, ma si legge tutto d’un fiato. Nelle sue pagine la grande presenza che non si può dimenticare è sempre una, ossessiva, ingombrante, il Lotto.
Una storia legata alla sorte
Abbiamo chiesto a Vladimiro Bottone perché l’abbia scritto, perché abbia sfornato una storia così legata alla sorte. “Ho trovato per caso la fotografia di quindici bambini che vivevano nel Serraglio di Napoli. Quindici teste rapate, e quindici paia di occhi che si fondevano in unico sguardo verso di me. Quello sguardo è diventato qualcosa che mi ha ossessionato e che mi ossessiona ancora oggi. Sarà per questo che ho scritto il romanzo quasi tutto di notte, andando a letto alle 9 e svegliandomi all’una, per poi ricoricarmi ancora alle 3 del mattino”.
Il Lotto e i suoi legami col sogno
Perché il Lotto è così importante nella tua storia? “Il Lotto a Napoli è sempre stato un argomento sentito in modo fortissimo. Ed è sempre stato legato, moltissimo, al sogno. Tante volte sentivo in casa – nella mia infanzia – dire dai miei genitori che avevano sognato la loro mamma, o altri defunti e talvolta quel sogno, quel breve contatto dava i numeri da giocare al Lotto. Il sogno è per me un momento in cui i vivi non sono proprio tali, ma sono vigili, ed hanno la possibilità di incontrarsi con i morti, che in quel modo cessano di essere morti. Il sogno è veramente il luogo dove i vivi e i morti continuano ad incontrarsi, è la zona dove si realizza una contiguità ed una continuità invidiabile tra i trapassati e noi che continuiamo a vivere. Mi ricordo gli occhi di mio padre, o di mia zia, quando brillavano di luce propria nel momento in cui avevano visto qualcuno dei loro cari in sogno. Credo che questo lato sia uno degli stemmi principali dell’antropologia napoletana. Non credo che nel resto dell’Europa occidentale esista un altro luogo dove numerologia e sogno, defunti e vivi si sentano così fortemente vicini tra di loro”.