«Hanno offeso Buddha al bar»: condannati ai lavori forzati

19 Mar 2015 10:32 - di Liliana Giobbi

Il Buddha deejay era una trovata per attirare nuovi clienti per uno dei bar trendy spuntati da poco a Rangoon. Ma la pubblicità è costata carissima: una condanna per “insulto alla religione” contro il proprietario neozelandese e i suoi due soci birmani, che dovranno passare due anni e mezzo di reclusione ai lavori forzati. Una sentenza che conferma il crescente nazionalismo associato al buddismo nella “nuova Birmania” nonostante le recenti riforme democratiche.

Buddha con cuffie da deejay

Phillip Blackwood (32 anni), Tun Thurein (40) e Htut Ko Ko Lwin (26) sono stati condannati per l’immagine promozionale postata sul profilo Facebook del “VGastro”, un ristorante e discoteca per i rampolli della nuova élite birmana e la crescente popolazione di espatriati. Il volantino online mostrava un Buddha con cuffie da deejay in colori psichedelici per annunciare una serata a metà dicembre, completa di narghilè e offerta per cocktail illimitati all’happy hour. L’accostamento aveva attirato aspre critiche sui social media birmani, tanto che l’immagine era stata presto ritirata e sostituita da un messaggio di scuse.

In Birmania cresce l’intolleranza

«La nostra ignoranza ci imbarazza e cercheremo di correggerla imparando di più riguardo alle religioni, alla cultura e alla storia della Birmania», si leggeva nel messaggio. Ma l’autocritica dei gestori non ha avuto effetto sui giudici, che hanno ravvisato «l’intenzione di insultare le credenze religiose». Oltre ai due anni di carcere per blasfemia è arrivata anche una pena aggiuntiva di altri 6 mesi, per aver venduto alcolici oltre l’orario consentito. Blackwood, arrestato a dicembre, ha già annunciato di voler ricorrere in appello, dicendosi «molto deluso» dal verdetto. La vicenda si inserisce in un clima di crescente intolleranza dei buddisti birmani, in particolare di fronte alla minoranza musulmana, che viene percepita in netta crescita demografica e quindi come una minaccia all’identità nazionale. Oltre ai pogrom nello stato occidentale di Rakhine contro i Rohingya, accusati di essere immigrati bengalesi clandestini, gli ultimi tre anni hanno visto un crescendo di attacchi contro cittadini birmani di religione islamica anche nelle pianure centrali del Paese.

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