Per il tribunale del Riesame, dopo Yara «Bossetti potrebbe colpire ancora»
È ancora il suo Dna nucleare trovato sul corpo di Yara Gambirasio a inchiodare Massimo Bossetti e a negagli la libertà per decisione dei giudici del Riesame di Brescia ai quali il suo avvocato, Claudio Salvagni, si era rivolto per la seconda volta, dopo altrettante bocciature del gip di Bergamo Ezia Maccora, e una dalla Cassazione. Per i giudici, persiste una «contraddizione» tra il fatto che il Dna mitocondriale trovato nei peli sul corpo della ragazza non sia di Bossetti e quello nucleare sia invece certamente suo; la questione resta «discutibile» e «l’anomalia» denunciata dal difensore «non trova una soluzione netta», ma si tratta di una questione che potrà trovare una «composizione solo se saranno espletate indagini aggiuntive, in sede di perizia in dibattimento o nel corso di incidente probatorio». In questa fase, però, «gli argomenti spesi non sono in grado di inficiare l’affermazione di appartenenza a Massimo Giuseppe Bossetti del Dna nucleare trovato nelle tracce biologiche corrispondenti al profilo genetico di “Ignoto 1”, in quanto vi e una piena compatibilità di caratteristiche genetiche, per 21 marcatori Str autosomici». La contraddizione, quindi, «non è dirimente e non scalfisce l’estrema rilevanza e significatività dell’indizio grave a carico» di Bossetti, «tanto più pregnante quanto più si pone mente alla localizzazione delle tracce da cui erano tratti i campioni di Dna (vicino al taglio degli slip e dei leggings della vittima), dunque in zona sensibile e attinta da arma bianca». L’esclusione «della presenza di formazioni pilifere riconducibili all’indagato sul cadavere, in quanto si tratta di dato scarsamente significativo» non contraddice «l’assunto di un contatto diretto tra Yara Gambirasio e Massimo Giuseppe Bossetti, attestato dallo svernamento ematico» del muratore sugli abiti della ragazzina».
Non solo Yara: «C’è propensione al delitto»
Non contano infine gli «appena otto mesi» in carcere per quanto riguarda il pericolo di recidiva e il suo «buon comportamento processuale è ininfluente in quanto doveroso e necessitato». Non ci sono «spunti di rilievo» per far venir meno il pericolo di reiterazione del reato nemmeno dalla relazione informatica sulle ricerche su tredicenni con accanto riferimenti sessuali nel computer di Bossetti anche se la difesa sostiene che non vi sia certezza sull’utente che le effettuava anche perché il computer non era in uso solo a lui. Solo il carcere è quindi misura proporzionata «al disvalore del fatto» e idonea a «frenare il rischio di ricaduta», perché i domiciliari sono insufficienti «a contenere la propensione al delitto» del muratore e ancor più «blande misure solo prescrittive» che «postulano serio senso di responsabilità, non predicabile per Bossetti, per rifuggire a nuove occasioni illecite».